|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
XXIV: Predazzo - Vardabe - Col delle Prese - Coston della Forca - I Mus - Pian de Paura - Pian dal Camp - Baita Gardoné - Predazzo (a piedi)
A volte può
essere conveniente affrontare i propri fantasmi. Per quest'ultima
escursione dolomitica del 2005, che ricalca in pieno uno degli
itinerari consigliati sul libriccino distribuito presso gli
Uffici Turistici della Val di Fiemme, so già che nel ritorno
transiterò esattamente nel punto dove, un anno prima, con la
mountain bike avevo fatto quel pauroso volo con conseguente
lussazione del gomito. Non so che sensazioni mi si smuoveranno
all'interno quando sarò sul... luogo del delitto, ma la
cosa non mi preoccupa più di tanto. Anche perché stavolta sono
a piedi! La gita comincia alle 8,30 dalla località Al Fol, alle
porte di Predazzo. Da lì mi incammino lungo la stradina diretta
alla Baita Gardoné: questa, prima asfaltata e poi sterrata,
sale costantemente dritta e dunque la pendenza è sempre sostenuta.
Anche cadenzando il passo la fatica si fa sentire, e ora comprendo
bene come l'anno prima io avessi affrontato la discesa in
bici fisicamente già provato. Meglio concentrarmi sugli aspetti
naturali e paesaggistici: il bel bosco, un grande tabernacolo,
una fragorosa cascata del Rio Gardoné...
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
"Chiare, fresche e dolci acque": una cascata del Rio Gardoné
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La giornata
odierna, offrendo un cielo terso e una temperatura gradevole, mi
permette di apprezzare questo e molto altro. A un certo punto trovo
un bivio: a partire da esso si sviluppa l'itinerario ad anello.
Abbandono la carrareccia principale e prendo a destra in direzione
Vardabe. Tale ampia radura, davvero splendida, rimane un po'
sotto il percorso; la digressione è però vivamente consigliata,
per non dire obbligatoria. Il posto, punteggiato di caratteristiche
baite e incorniciato da alte conifere, oggi è impreziosito da un
fenomeno particolare. La grandine, caduta copiosa in precedenza
con chicchi grossi come noci, non si è ancora sciolta: un po'
dappertutto c'è una distesa biancastra che dà quasi l'illusione
della neve. Rimango estasiato di fronte a un sito così magnifico,
che dalla parte opposta della valle presenta una larga veduta dei
Lagorai. Scatto numerose foto da diverse angolazioni, stupendomi
un po' del fatto che, malgrado le molte baite, io sia completamente
solo. Va però considerato che oggi è già il 4 di settembre e ormai
la stagione estiva volge al termine.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La splendida radura di Vardabe con la grandine che sembra neve
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Una bella baita presso Vardabe
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
I Lagorai sullo sfondo della radura di Vardabe
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Riprendo il
cammino. La stradina diventa sentiero, in decisa salita verso il
Col delle Prese; man mano che la quota aumenta, la vegetazione si
dirada lasciando il posto a larghe praterie. Un po' per il dislivello
col fondovalle, un po' perché questa zona specifica non è forse
turisticamente così "in", continuo a non incontrare anima
viva. Il fatto che qui di norma non passi nessuno mi viene confermato
dagli appariscenti funghi: due mazze da tamburo sono proprio belle,
anche se 'sforacchiate' dalla grandine.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Un grosso esemplare di mazza da tamburo (Lepiota procera)
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Ma eccomi al
Coston della Forca, a quasi 2000 metri. Il grosso della fatica è
alle spalle, e il panorama si fa quantomai interessante. Mi trovo
presso il Feudo (o Monte Feudale), zona del Latemar esterna al 'ferro
di cavallo' principale, per l'esattezza a sud di esso. Da
qui un'occhiata all'interno del gruppo m'è comunque
possibile, arrivando a distinguere le Torri Occidentali e Orientali
(laddove si sviluppa la Ferrata
dei Campanili),
la Forcella Grande e lo Schenon.
Ora il sentiero volge con decisione verso ovest passando sotto i
Mus, dentellata propaggine secondaria del Latemar.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Le Torri del Latemar dal Coston della Forca
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Macchie di
ginepri e rododendri si trovano di frequente; una marmotta, ritta
su un cumulo di detriti, avverte con un fischio le compagne circa
la mia presenza. Il Bait de Sügadoi, a quota 2196, segna il punto
più alto dell'escursione: sono presso la località recante il
minaccioso toponimo di Pian de Paura, ma che al contrario a me ispira
pace e grande tranquillità. In tre ore e un quarto ho superato oltre
1100 metri di dislivello: il riposo e il pranzo al sacco sono dunque
meritati. Mangio senza alcuna fretta, visto il bel tempo e gli ammalianti
panorami, poi girovago in esplorazione per ben due ore. A parte
l'ideale prospettiva sui Lagorai, il posto è magnifico a 360
gradi, e lo sguardo può correre lontano fino al Sella e alla Marmolada.
Se invece tengo gli occhi verso il terreno o, all'opposto, verso
il cielo, mi rendo conto della veridicità di due annotazioni presenti
nel già citato libretto escursionistico: nel suolo vi sono cospicui
sprofondamenti di origine carsica, mentre sopra la mia testa volteggiano
degli astori, rapaci simili alle aquile. Alla mia destra, sul crinale
successivo a quello dei Mus, scorgo in alto un'evidente croce,
posta, come saprò poi, sulla sommità di Cima Feudo. Raggiungerla
non mi parrebbe impresa impossibile, abbordandola dal Passo Feudo
o dal Rifugio Torre di Pisa. Ma confesso che la tentazione svanisce
nel giro di poco: sono contento e appagato per quello che ho già
realizzato quest'estate e, nella fattispecie, anche oggi. Non
si deve strafare a tutti i costi, e inoltre non sta scritto proprio
da nessuna parte che ogni gita debba per forza includere una vetta.
Fermo restando che la salita di una cima rappresenta l'essenza
stessa dell'alpinismo, la soddisfazione che si prova nell'andar
per monti credo debba prescindere da certi elementi di obbligatorietà.
Camminare e/o arrampicare dev'essere un piacere, non una costrizione:
per quest'oggi basta così. In piena serenità riprendo dunque
il normale percorso che, dopo aver attraversato l'intero Pian
de Paura, prevede l'abbandono del sentiero principale che, in
quota, porterebbe al Passo Feudo, per imboccare invece una deviazione
a sinistra che scende al Pian dal Camp e, da qui, direttamente alla
conca del Gardoné. Presso una baita la mia attenzione è attirata
da alcuni stranissimi cumuli, di forma conica e dislocazione regolare,
ricoperti di erba (qualcuno mi sa dire cosa diavolo sono?).
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Il meritato riposo sul Pian de Paura
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Gli strani cumuli conici presso una baita poco sopra Gardoné
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Ancora una breve discesa ed eccomi alla Baita Gardoné, poco sotto la quale riconosco subito il punto esatto del mio incidente ciclistico cui accennavo all'inizio. A testimonianza di quanto la memoria possa essere fallace in caso di evento traumatico, devo riconoscere che il reportage scritto un anno fa non era esatto circa i motivi che possono aver indotto la disastrosa caduta. All'epoca ricordavo un tratto di discesa molto ripida ma con fondo buono. L'analisi critica odierna mi fa invece propendere per il contrario: il pendio è sì accentuato ma non così estremo, tanto che nella mia 'carriera' di biker ho sicuramente affrontato di peggio. Viceversa è il terreno a risultare alquanto insidioso, con le sue profonde canaline dovute al passaggio delle jeep e ricoperte di abbondante ghiaia. Un attimo di distrazione o di rilassamento causato dalla stanchezza m'è dunque stato fatale, e la ruota anteriore dev'essere slittata mettendosi poi di traverso, catapultandomi in avanti. Ripenso a tutto questo mentre sono sempre lì, fermo sul luogo sfortunato, ma dentro di me non c'è una particolare emotività, non mi scorre davanti agli occhi nessun film che mi provochi batticuore. Meglio così, vuol dire che l'evento è già stato metabolizzato e 'incasellato' nella giusta dimensione. Più sotto chiudo la parte ad anello della gita ritrovando l'incrocio della mattina; non mi resta che continuare a scendere verso Predazzo. Quando trovo un recinto con delle oche starnazzanti capisco di essere vicino al centro abitato, e infatti intorno alle quattro concludo questa gita davvero remunerativa e panoramica, alla portata di qualunque escursionista purché allenato.
[Dolomiti 2005]
|
|
|
|
|