IV: Passo Costalunga - Sentiero 18 - Forcella Piccola del Latemar - Schenon -
Forcella Piccola del Latemar - Sentiero 517 bis - Passo Costalunga
(a piedi)

Mamma mia, che fifa! Devo ammetterlo: ancora oggi, tornando col pensiero ad alcuni passaggi cruciali che mi sono trovato ad affrontare nel corso di questa gita, peraltro splendida, un sottile filo di inquietudine riesce a impadronirsi di me... Ciò è probabilmente dovuto al fatto che le difficoltà incontrate non potevano certo dirsi del tutto previste, e la cosa suona strana se si pensa che io sono piuttosto meticoloso nella preparazione 'a tavolino' degli itinerari, confrontando sempre diversi libri e cartine: precauzione imprescindibile, considerata la solitarietà delle mie uscite. Ma la guida escursionistica Kompass (e così le altre) classificava il percorso per 'escursionisti esperti', e nulla più. E l'esperienza mi aveva insegnato che tale definizione, per me, di norma non comportava poi sul campo un impegno particolare, né dal punto di vista tecnico, né a maggior ragione da quello fisico. Ma stavolta la realtà, almeno per quanto concerne il primo aspetto, si è rivelata ben diversa. Andiamo con ordine. Sono le 8 del mattino quando lascio la macchina al Passo Costalunga e inizio a camminare. La prima parte è elementare e si svolge lungo quegli stessi sentieri che avevo percorso un anno fa per giungere all'attacco del Labirinto del Latemar: dunque un comodo, pianeggiante trasferimento nel fresco del bosco fino alla base del pendio roccioso. Ecco il bivio: imbocco a sinistra il numero 18, ed è subito un'altra musica. La salita si fa erta e ben presto raggiungo il limite superiore della vegetazione; magnifici sono alcuni scorci sulla frana lungo la quale si snoda il Labirinto, e altrettanto suggestivi risultano i controluce sulle Torri del Latemar. Gettando lo sguardo dalla parte opposta, toglie il fiato la bellezza d'insieme dei rododendri, dei prati e del gruppo della Roda di Vael.

Il gruppo del Latemar dal Passo Costalunga

Gli splendidi contrasti di colore offerti dai
rododendri, dai prati e dalla Roda di Vael

Il pendio diventa scosceso e il sentiero, anche se ben segnato, man mano che procedo verso l'alto presenta alcuni tratti per esperti, dove sono necessarie le mani per una più sicura progressione sulle roccette. Il rosso disco del sole arroventa l'aria: malgrado la già ragguardevole quota e l'esposizione a nord, il caldo si fa decisamente sentire. Sono da poco passate le dieci quando ho finito di risalire la gola rocciosa che poi sbuca ai 2526 metri della Forcella Piccola del Latemar. Faccio una breve sosta per riprendere fiato, dopodiché riparto subito. Per un po' mi illudo che le difficoltà maggiori siano quelle ormai lasciate alle spalle, ma appena mi ritrovo sul versante opposto della montagna la situazione cambia radicalmente. Il sentiero si tramuta in una vera e propria via alpinistica! I segni rossi servono adesso a scegliere i passaggi migliori su un terreno oltremodo insidioso, che prevede in sequenza la risalita e l'attraversamento di diverse forre. In più di un punto mi vedo costretto ad arrampicare su rocce quasi verticali e non proprio ricche di appigli. Sono tratti di pochi metri, d'accordo, però la roccia è pessima: friabilissima, pare sfaldarsi di continuo sotto gli scarponi; in più, inferiormente a queste forre vi sono salti di centinaia di metri, per cui anche una semplice scivolata potrebbe avere conseguenze tragiche. Cerco di star calmo e di procedere con infinita cautela, però - inutile nasconderlo - non mi sento del tutto tranquillo, e il pensiero va inevitabilmente al ritorno, quando dovrò affrontare quegli stessi passaggi in discesa... Dopo un'oretta abbondante le difficoltà terminano, e mi ritrovo su una facile dorsale che, in breve, sbocca sulla vetta dello Schenon del Latemar, a quota 2800. Dal punto più alto raggiungo poi la croce, la quale è stata collocata appena sotto, affacciata sullo strapiombo da cui si staccò la frana del Labirinto e dunque in posizione panoramica. Controllo i tempi: dal Passo Costalunga sono trascorse tre ore e mezzo, ed è perciò il caso di fare la sosta 'lunga' della giornata. Sono solo le 11,30, ma l'appetito è di quelli... giusti, per cui provvedo a immettere nello stomaco le calorie necessarie. Intorno a me ci sono piccoli gruppi di alpinisti di varia provenienza, nella stragrande maggioranza di lingua tedesca. Dopo mangiato, firmo il libro di vetta e provvedo a immortalare tutte le belle montagne che mi si offrono alla vista: l'impressionante e aerea cuspide del Cimon del Latemar, poi la Roda di Vael, ma anche la Vallaccia, lo Sciliar, il Sella, la Marmolada; a sud invece, a parte Bocche, lo sguardo si perde sui lontani gruppi delle Pale di San Martino e dei Lagorai.

In vetta allo Schenon. Sullo sfondo
l'appuntito Cimon del Latemar

Ascesa verso lo Schenon: alcuni metri di non facile
arrampicata. La via è indicata dalla freccia rossa

A dire il vero il cielo non è più così sereno. Ho un breve scambio di battute con una coppia di soci del CAI di Como, i quali mi raccontano di una brutta avventura capitata tempo addietro a una comitiva su quelle forre a cui, sotto sotto, sto continuando a pensare: un'improvvisa e violenta pioggia trasformò rapidamente quegli stretti canaloni in altrettanti letti di ruscelli prima inesistenti. Risultato finale: soccorso alpino allertato a causa dei gravi infortuni patiti da diversi ragazzi! Pur senza sapere questo accadimento, avevo già deciso di rimettermi presto in marcia, così da evitare i trabocchetti dell'acqua su una roccia già di per sé così instabile. Ridiscendo il crinale e passo accanto al Cornon, cima che decido di non salire a causa del tempo peggiorato e soprattutto perché voglio restare fresco e lucido nell'affrontare i passaggi cruciali più in basso. Arriva il cimento: sono nella zona delle anguste gole. Laddove si deve passare in orizzontale, mi è sufficiente rallentare e usare il massimo della concentrazione, giacché le strettissime cornici sono quasi sempre inclinate verso l'esterno e ricoperte di un ghiaino che non tiene affatto. Sbagliare non si può, se non si vuole cadere senza fermarsi. Ma ancor più a malpartito, come prevedevo, mi trovo quando la roccia si fa ripida e sono costretto ad arrampicare in discesa.

Arrampicata in discesa su un tratto
non particolarmente impegnativo

Una delle tante forre, strette ed esposte,
che si devono superare lungo il percorso

Studio certi passaggi per dei momenti che mi sembrano un'eternità, anche se forse si tratta solo di trenta secondi o un minuto. A volte tento una sequenza di appigli, poi cambio idea. Mi coglie la sgradevole sensazione di essere al limite estremo delle mie (non eccelse) capacità tecnico-alpinistiche: ognuno di noi ha il suo, e questo non va in ogni caso superato. Non soffro assolutamente di vertigini, e forse grazie a ciò il panico vero e proprio non mi coglie mai. Però in alcuni tratti mi accorgo di non essere esattamente ortodosso: date le inesistenti possibilità di assicurazione, mi accovaccio per tenere giù il baricentro. Uso tutto, culo, ginocchia e gomiti compresi... Non si dovrebbe, lo so, ma il fine giustifica i mezzi. Conservo la razionalità e in special modo rifuggo quella comprensibile fretta che istintivamente mi porterebbe a "togliermi d'impaccio" prima possibile. Pur con qualche brivido eccessivo, alla fine la missione è compiuta, e mi ritrovo alla Forcella Piccola del Latemar. I muscoli si rilassano come per incanto, e un fugace squarcio di sereno pare salutare la riuscita della mia impresa. Adesso posso concentrarmi su altri particolari della natura, come le genziane e gli altri fiori tipici di questi luoghi.

Incredibili panorami dalla
Forcella Piccola del Latemar

La grande varietà di colori
offerta dalla flora dolomitica

Per scendere al Passo Costalunga imbocco un sentiero diverso rispetto alla mattina, ovvero il 517 bis, che aggira la Cima Popa dal lato opposto (est) per poi puntare in giù verso nord. Si tratta di un percorso più semplice a confronto di quello fatto all'andata, mancando del tutto quelle roccette che, nel n° 18, impongono talvolta l'uso delle mani. La perdita di quota avviene in maniera graduale, e con un ritmo regolare alle tre e mezzo sono dentro al bosco, poco sopra il passo. Sta cominciando a piovere, ma ormai la fine della gita è prossima, e in una ventina di minuti sono alla macchina. Giudizio complessivo: gita appagante, tanto che vi si percepisce davvero il palpito dell'alta montagna; sino alla Forcella Piccola l'itinerario è accessibile a chiunque sia ben allenato e sufficientemente disinvolto nel procedere (meglio, tuttavia, fare come me: il 18 in su e il 517 bis in giù, non il contrario). La prosecuzione per la vetta dello Schenon, invece, è tassativamente riservata agli escursionisti dotati di sicura e comprovata esperienza alpinistica, del tutto esenti da vertigini e in grado di mantenere il piede fermo (e il sangue freddo) anche su un terreno fortemente instabile.

[Dolomiti 2005]