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XIV: Pampeago - Rifugio Torre di Pisa - Cima Cavignon - Forcella dei Campanili - Ferrata dei Campanili - Forcella Grande del Latemar - Sentiero 18 - Rifugio Torre di Pisa - Cima Valbona - Pampeago (a piedi)
Che giornata
polare! A mia memoria, davvero non ricordo alcuna gita estiva
in cui io sia stato costretto a tenere fissa la giacca della
tuta senza poterla mai togliere neppure un istante... Ma c'è
sempre una prima volta, ed evidentemente era destino che ciò
accadesse in questo agosto 2005, davvero anomalo dal punto
di vista meteorologico. Quanto alla mia gita, da diversi anni
pensavo all'aereo percorso del Latemar denominato "Ferrata
dei Campanili", ma non avevo mai avuto il coraggio di affrontarlo.
Però, dato che già nel 2001 mi ero fatto un'idea della zona,
stante la mia forma fisica quest'anno mi sono deciso. Lascio
la macchina sopra Pampeago, laddove il cartello lungo la carrareccia
impedisce il transito, e proseguo a piedi. Sono le 8,40 e
il freddo è quantomai pungente: il termometro sul mio altimetro
segna 6 gradi. Tenere un passo spedito è dunque obbligatorio
sia per la lunghezza dell'itinerario che mi attende, sia soprattutto
per non rimanere congelato. Malgrado l'impegno, le mani sono
ghiacciate e rigide come stoccafissi: devo continuamente batterle
e soffiarci sopra per attivare la circolazione. Poco prima
del Passo Pampeago, ecco il bivio: devio a destra per il Rifugio
Torre di Pisa. Davanti a me c'è il crinale formato dalle cime
Cavignon e Feudo, oltre il quale so già che si stende il bellissimo
anfiteatro del Latemar.
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La Cima Valbona; a destra la Cima Cavignon col Rifugio Torre di Pisa
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Cammino veloce
e in breve ho quasi raggiunto tre escursionisti che parlano a voce
alta. "Sicuramente saranno italiani", penso fra me. Sono facile
profeta: via via che mi avvicino percepisco sempre meglio il loro
accento emiliano, col quale raccontano un'amena storiella familiare.
"Ti ricordi di quella volta che il nonno era seduto sulla panca
e si era inclinato tutto da una parte?". "Sì, e noi a dire: «Oddio,
il nonno ha un malore e sta cadendo!»". "E invece doveva solo mollare
una scorreggia e si era spostato su una mela per farla meglio!".
Beh, di fronte a siffatto aneddoto non posso trattenere le risate,
memore dei grandi B-movies
italiani degli anni '70... Della serie: Renzo Montagnani è una fede
e Alvaro Vitali il suo profeta! Raggiungo, saluto e supero il trio,
che dentro di me ringrazio per avermi allentato per un attimo la
tensione dovuta al pensiero dell'impegno che mi sta attendendo.
Giunto al Rifugio Torre di Pisa, l'istinto da... "collezionista
completista" mi spinge a superare quei pochissimi metri che lo separano
dal punto più alto della Cima Cavignon, dopodiché riparto. Passo
davanti a quegli incredibili fenomeni naturali che sono la Torre
di Pisa e la Porta del Latemar. Il primo è un ardito, inclinato
pinnacolo che non può non ricordare il monumento toscano; il secondo
è un buco formato da una serie di colonne e massi disposti in un
equilibrio straordinario. L'architettura di entrambi è affascinante
ma l'aspetto è palesemente fragile: viene logico chiedersi quanto
rimarranno ancora in piedi, considerando che, nelle Dolomiti, negli
ultimi anni i crolli di certe guglie si sono verificati a ritmo
esponenziale… Discendo nell'anfiteatro del Latemar. Non ho tempo
per divagazioni in quota, dunque lo attraverso direttamente nel
suo punto centrale, seguendo sempre i segnavia. La zona è battuta
da un forte vento gelido, e ben presto mi rendo conto di essere
completamente solo. Oggi, forse per la prima volta in vita mia,
percepisco la montagna come un luogo repulsivo e inospitale.
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Da sinistra: Forcella dei Campanili, Torri Occidentali, Cimon del Latemar, Torri Orientali, Forcella Grande, Schenon
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Ma
non mi scoraggio e punto alla Forcella dei Campanili, che raggiungo
con un ultimo, breve strappo. Qui c'è l'attacco della ferrata e
devo giocoforza attrezzarmi. La pausa richiesta non mi è sgradita,
essendo trascorse già tre ore dalla partenza. Mi guardo un po' intorno,
e lo scenario è effettivamente incomparabile: il gruppo del Catinaccio
è molto vicino; più lontani sono il Sella e la Marmolada, ma sempre
visibilissimi. Soprattutto, presso la forcella ci sono tanti picchi
affilati come fusi: il loro tormentato profilo è un vero spettacolo!
Un'occhiata, adesso, alle alte crode che costituiscono il percorso
della ferrata, e che incutono in me un misto di eccitazione e di
apprensione. Mi lego in vita il cordino coi moschettoni, indosso
il casco e i guanti, quindi mi lancio animosamente su per il pendio.
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Le frastagliate, affascinanti guglie presso la Forcella dei Campanili
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Dalla Forcella dei Campanili, guardo le alte crode che mi aspettano
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All'inizio,
infatti, si tratta di guadagnare quota risalendo una scarpata detritica
non difficile, ma insidiosa a motivo di quella friabilità che caratterizza
tutto il Latemar. A ogni modo, saggiando e ripulendo gli appoggi
per i piedi, senza problemi mi ritrovo in breve alla base della
prima Torre Occidentale, laddove cominciano le funi metalliche.
L'itinerario è ben studiato e oltremodo emozionante, sfruttando
un sistema di cenge naturali che progressivamente si innalzano fino
a transitare poco sotto le vette delle varie torri. Dal punto di
vista tecnico nessun passaggio è troppo difficile; nondimeno alcuni
traversi in orizzontale sono piuttosto esposti e richiedono la giusta
cautela. Ben presto mi rendo conto di un problema che purtroppo
mi accompagnerà per tutta la ferrata: i punti di ancoraggio degli
infissi metallici sulla roccia sono molto distanziati, e le funi
sono alquanto molli. Non è assolutamente il caso di attaccarcisi
di peso, dato che ne conseguirebbero pericolosi ondeggiamenti con
relativo rischio di perdita dell'equilibrio... La peculiarità più
esaltante della ferrata, per quanto riguarda i panorami, si ha quando
si devono attraversare le strette gole e gli angusti forcellini
che separano una torre dall'altra: le occhiate che si possono dare
sul versante opposto, con lo Sciliar incorniciato fra le verticali
pareti che formano gli anfratti, sono di una bellezza da togliere
il fiato! Scendere in questi camini e poi risalire sulle cenge successive
in un paio di casi non è però elementare: mi riferisco a quando
i chiodi di ancoraggio sono addirittura divelti dalla roccia e il
cavo metallico oscilla con preoccupante libertà. Qui la calma e
la prudenza sono veramente obbligatorie! La ferrata è molto varia
e prosegue alternando passaggi su roccia a normali tratti su sentiero;
il punto potenzialmente più pericoloso è però un'esile ed esposta
cengetta in cui incredibilmente manca qualunque infisso di sicurezza.
Il mio pensiero corre subito alle versioni di latino e greco che
facevo al liceo: molte note, con relativa traduzione, mi apparivano
del tutto pleonastiche; viceversa, nei punti davvero ostici, spesso
non c'era il benché minimo aiuto! Ora è un po' lo stesso, e devo
concentrarmi al meglio, perché sbagliare non si può: perdere l'equilibrio
significherebbe precipitare nel pendio sottostante... A piccoli
passi, abbarbicandomi fortemente con le mani alla roccia, pian piano
supero il punto critico, per fortuna breve.
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Lo Sciliar incorniciato in una stretta e profondissima gola
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La pericolosa cengetta esposta e non attrezzata
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Il percorso
passa non lontano dalla vetta del Cimon del Latemar, la maggiore
elevazione del gruppo: scorgo infatti alcune tracce che guidano
verso di essa, ma a dire il vero non ho alcuna voglia di effettuare
tale digressione. Il vento continua a sferzare impietoso, ed è anzi
più forte ora che sono in alta quota, a 2750 metri. Perciò, malgrado
questo sia in teoria il momento più caldo della giornata, la temperatura
non è affatto salita rispetto alla mia partenza della mattina, avvenuta
circa 900 metri più in basso: anzi, per ovvi motivi è forse vero
il contrario. Inoltre comincia ad affiorare un po' di stanchezza,
dovuta alla lunga marcia di avvicinamento cui s'è poi sommata la
ferrata. No, per oggi sono pienamente felice e appagato per quello
che ho fatto, dunque proseguo per il normale itinerario. C'è adesso
da passare sotto alle Torri Orientali, finché il superamento dell'ennesima
gola richiede il passaggio più atletico dell'intero percorso. Inizialmente
si tratta di scendere lungo una parete verticale e del tutto priva
di appigli: su di essa è stata appoggiata una scala metallica. I
primi gradini non mi creano difficoltà, poi però mi accorgo che
la scala stessa non arriva proprio alla base della gola. In più
l'ultimo tratto è leggermente strapiombante, per cui non mi è facile
vedere dove appoggiare i piedi. Cerco di allungare le braccia per
guardare in basso, ma l'innaturalità della posizione mi provoca
un rapido affaticamento degli arti superiori. Non posso insistere
a lungo: o torno su o mi calo in giù in qualche modo. Opto per la
seconda possibilità, e finalmente sotto gli scarponi sento il terreno
orizzontale.
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Un passaggio lungo la ferrata
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La strapiombante scala metallica
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Anche il versante
opposto della gola è alquanto ripido, però gli appoggi per i piedi
sono buoni e devo affrontarlo in salita: i problemi sono sensibilmente
minori. Mi trovo adesso su una spalla rocciosa da cui vedo giù in
basso, come se fossi su un elicottero, il Bivacco Rigatti, che segna
appunto il termine della ferrata. La discesa per raggiungerlo sembra
ostica, e mi torna in mente che dalla vetta dello Schenon
mi parve effettivamente repulsiva. Ma è solo un'impressione: mi
basta percorrerne pochi metri per capire che la roccia, pur ripida,
è sicura e piuttosto bonacciona. Mi tengo saldamente alla fune metallica
e con calma discendo la parete, finché raggiungo il Bivacco Rigatti,
presso la Forcella Grande del Latemar. Ce l'ho fatta! E' ormai l'una
e quaranta del pomeriggio e sono trascorse ben cinque ore, soste
comprese, da quando ho cominciato a camminare. Logico, quindi, che
lo stomaco manifesti a chiare note le proprie esigenze, a cui do
doverosamente la precedenza, dopo essermi messo comodo su un ampio
tavolato roccioso. Anche qui per ora non c'è nessuno, eccezion fatta
per una simpatica colonia di gracchi alpini da cui sono letteralmente
assediato durante il pranzo! Contraccambio volentieri le loro attenzioni
con pezzetti di formaggio e di affettati. Poi mi dedico ai panorami,
e devo riconoscere che alcuni scorci sono indimenticabili: sulla
forcella incombe lo Schenon con una verticale parete, mentre oltre
il Passo di Costalunga lo sguardo si perde sul caratteristico altopiano
dello Sciliar.
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Assediato dai gracchi alpini durante il pranzo!
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La verticale parete dello Schenon che incombe sulla Forcella Grande
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Il meritato riposo sulle lastronate della Forcella Grande
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Non ho alcuna
fretta e indugio volentieri, scattando numerose foto. Dalla vetta
dello Schenon una coppia di alpinisti discende l'impegnativo sentiero
fino a raggiungere il luogo dove mi trovo. I due, ben attrezzati,
sono (ovviamente...) di lingua tedesca. Anche loro si mettono a
mangiare. Proprio quando pensavo di essere l'unico ad aver percorso,
quest'oggi, la "Ferrata dei Campanili", ecco che intravedo tre persone
impegnate nell'ultimo ripido tratto in discesa. Guardo l'orologio:
è gia un'ora e mezzo che sono fermo ed è il caso di ripartire, dato
che il rientro si preannuncia tutt'altro che breve. Il tempo di
lasciare la firma col mio recapito Internet sul libro dentro il
bivacco, quindi mi rimetto lo zaino in spalla. Torno indietro lungo
il sentiero n° 18, che corre parallelo alla ferrata ma a una quota
più bassa. Sulle carte è tracciato con puntini e dunque classificato
"per esperti", in quanto l'attraversamento di alcune forre e di
certe cenge non larghissime richiede attenzione. Ovvio, comunque,
che a confronto della ferrata il tutto mi appaia sensibilmente più
abbordabile. Evito la risalita alla Forcella dei Campanili, che
oggi ho già visitato, e taglio direttamente fino a ricollegarmi
col 516 che passa in mezzo al "ferro di cavallo" del Latemar. Le
nuvole, sospinte dall'aria in perenne e forte movimento, mutano
di continuo l'aspetto dell'orizzonte. A un certo punto, avvolto
da quella solitudine che mi ha costantemente accompagnato in questa
escursione, rimango rapito a vedere le affascinanti Pale di San
Martino, che contrastano con l'altrettanto ammaliante paesaggio
lunare del luogo dove adesso mi trovo.
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L'esposta cengia del sentiero 18, da percorrere con attenzione
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Dal lunare anfiteatro del Latemar, guardo le Pale di San Martino
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La fatica si
fa adesso evidente nella risalita verso il Rifugio Torre di Pisa:
devo ritmare bene il passo e procedere senza strappi. Terminata
l'erta, voglio acquistare la consueta cartolina-ricordo col timbro,
per cui entro nel rifugio. Il fuoco è acceso e un'istantanea sensazione
di benessere invade il mio corpo. Rimango a riscaldarmi per un po',
e ne approfitto per scambiare due chiacchiere con la giovane gestrice.
Il primo argomento è, ovvio, il gran freddo: mi viene detto che,
quella mattina alle 7, avevano registrato una temperatura di 7°
sotto zero! Dunque ben meno rispetto alla mia personale misurazione,
avvenuta però circa due ore dopo e, soprattutto, circa 800 metri
più in basso, dato che sono partito più o meno da quota 1850 mentre
il Rifugio Torre di Pisa è a 2671 metri. La percezione della giornata
invernale non era quindi affatto sbagliata... Poi, in armonia con
quanto indicato sul cartello all'imbocco della ferrata che invitava
a segnalare al rifugio eventuali guasti alle attrezzature, faccio
presente che la manutenzione degli infissi è tutt'altro che ottimale,
fra cavi molli e punti di ancoraggio divelti. Mi viene risposto
che ormai non c'è alpinista che percorra la ferrata che non
faccia le stesse osservazioni, e che l'unica e più logica soluzione
è rifare completamente tutte le attrezzature. Condivido in pieno
tale necessità. Riparto verso Pampeago, ma prima di tornare in giù
non posso fare a meno di effettuare la deviazione che in poco tempo
mi porta su Cima Valbona. Veramente notevole il panorama che posso
godere dalla vetta, arrossata dal sole ormai declinante.
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Su Cima Valbona, nel rosso del sole al tramonto
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Quando ritrovo la macchina sono già passate le 19, ed è grande la soddisfazione per aver completato con successo questa gita lunga e impegnativa, ma sicuramente bellissima.
[Dolomiti 2005]
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