VIII: San Giovanni di Fassa - Cima Dodici e ritorno
(a piedi)

In vetta a Cima Dodici

L'invero sintetica descrizione dell'itinerario di questa gita non deve far pensare ad un'escursione particolarmente breve e semplice. Tutt'altro; solo che lungo l'itinerario non si toccano forcelle, rifugi e così via, dunque la toponomastica è limitata al luogo di partenza e di arrivo. Cima Dodici, emblematica vetta della bassa Valle di Fassa, rappresentava per me l'ultima mèta da raggiungere nel sottogruppo della Vallaccia, che nel corso degli anni ho ormai girato in lungo e in largo. Da San Giovanni, poco sotto Vigo di Fassa, i manuali danno un tempo di percorrenza medio di circa quattro ore per la sola salita; in più, come detto, non vi sono veri punti d'appoggio nel corso del cammino. Più che per questo, avevo fin qui rinunciato perché sapevo che alcuni tratti su roccia erano ferrati, dunque non proprio elementari e men che meno adatti ad essere percorsi in quella solitudine - peraltro appagante - che caratterizza la zona della Vallaccia. Ma due giorni prima Vittorio Bonelli, sulla Marmolada, mi aveva rassicurato: "Mi chiedi se sei in grado di fare quella gita?... Altroché! Guarda che però è lunga". Ma non sono né la fatica né la noia che mi spaventano in montagna; quindi, sull'onda dell'entusiasmo di aver raggiunto la vetta della "Regina delle Dolomiti", dopo la pausa ferragostana riparto subito. Da San Giovanni attraverso il fiume Avisio e subito mi ritrovo dentro al bosco. Il sentiero è comodo e la pendenza costante, anche se il dislivello da superare è considerevole. La giornata è piuttosto bella e mantengo alto il ritmo. A occhio, giudico di essere in vetta all'incirca in due ore e mezzo, ma mi capita un imprevisto che mi fa perdere una mezz'ora abbondante: ad un bivio, pur dopo un attento esame, non noto alcun segno bianco-rosso di sentiero, così decido di imboccare la direzione che mi pare intuitivamente giusta. Purtroppo non è così: dopo un po' mi accorgo che quel sentiero corre in costa e non sale più; al contrario, sta tornando verso Moena! Leggermente contrariato, torno sui miei passi fino al famigerato bivio, dove prendo l'altra strada. Il sentiero si fa presto più ripido ed esce dal bosco, inoltrandosi su di un percorso quanto mai bello e vario, che alterna praterie e tratti rocciosi. Questi ultimi, in effetti, richiedono l'ausilio delle mani per poter procedere; alcuni passaggi su cenge e paretine sono abbastanza esposti, ma facilitati, appunto, dalla presenza delle funi metalliche di sicurezza. Con calma e concentrazione supero questi brevi tratti attrezzati e mi ritrovo sull'insellatura fra il Sass Aut e Cima Dodici. Fin qui non ho in pratica veduto anima viva; ora, invece, incontro un po' di gente salita dal versante opposto, lungo la "vera" ferrata. Ancora una breve dorsale erbosa e raggiungo la vetta. Tre ore complessive di cammino non sono bastate, ma considerato il contrattempo dianzi accennato posso ritenermi sicuramente soddisfatto. Le condizioni meteorologiche sono ancora più che buone, e la visuale dalla vetta è di quelle magnifiche: Sassolungo e Catinaccio mi appaiono in tutta la loro poderosa mole. Canonica sosta per i panini, le foto e ovviamente per recuperare le forze dopo gli oltre 1100 metri di dislivello superati, quindi ritorno sui miei passi. Uso la massima attenzione per affrontare quei brevi passaggi, facili ma esposti, su roccia attrezzata: essendo ora in discesa, la cautela deve essere particolare, perché scivolare porterebbe a gravi conseguenze. Però l'"impresa" della Marmolada pare aver portato nel mio intimo una notevole tranquillità, quasi un equilibrio psicofisico nuovo, cosicché senza fretta e nel contempo senza paure immotivate proseguo il cammino. Rientrato nel bosco, incontro un tale che sta salendo. Abbastanza trafelato, mi confessa di essere rimasto vittima anche lui del bivio non segnalato, e di aver perso molto tempo prima di accorgersi dell'errore. Mal comune non è certo mezzo gaudio, in questi casi. Mi rivolgo a chi tiene i sentieri: perché mai le indicazioni abbondano a valle, laddove è impossibile perdersi, mentre in quota i sentieri troppo spesso hanno segnaletica carente o addirittura assente, con gli ovvi rischi che ciò può comportare? Questo vale per il gruppo della Vallaccia ma non solo, visto che l'anno scorso mi sono capitate situazioni analoghe anche altrove (vedi Col Ombert e Cima delle Stellune). Tornando alla mia gita, il rientro a San Giovanni è ormai vicino. E' già pomeriggio inoltrato e il cielo va coprendosi, tuttavia la pioggia fortunatamente non cadrà.

[Dolomiti 2002]