II: Colfosco - Val Setus - Rifugio Cavazza - Cima Pisciadù e ritorno
(a piedi)

Una vetta che avevo da lungo tempo in mente era la Cima Pisciadù (sic!), imponente 'panettone' nel cuore del gruppo del Sella. L'idea mi attirava alquanto, trattandosi di un itinerario sì per escursionisti già esperti nell'arrampicata, ma dalle difficoltà non trascendentali. In più, il panorama dall'alta cima (2985 metri) è decantato su tutte le guide, quindi non potevo più esimermi dall'affrontarla. Il trasferimento in macchina, per me che parto da Moena, è invero un po' lungo. C'è da scavalcare i due passi Sella e Gardena, quindi proseguire ancora per un po' fino al parcheggio della Ferrata Tridentina, nei pressi di Colfosco. Quando inizio a camminare sono già le dieci meno un quarto, ma sono consapevole che la mia gita, pur nel significativo dislivello da superare (1030 metri), non dovrebbe rivelarsi troppo lunga. La prima, ripida salita avviene lungo un ghiaione interamente esposto al sole. Il clima è molto caldo, addirittura afoso in un modo innaturale: è evidente che l'aria è satura di umidità, segno di un cambiamento atmosferico peraltro nelle previsioni. Ma ora c'è un sole dardeggiante che, quando getto l'occhio alle mie spalle, mi consente di ammirare gli splendidi prati del Passo Gardena, sovrastati dagli aguzzi Pizzes da Cir. Tale visione contrasta con la stretta, incassata Val Setus, che ora vado ad affrontare, lasciando a sinistra la deviazione per la Ferrata Tridentina. Appena mi ritrovo in ombra la temperatura subisce un repentino abbassamento, che mi gela addosso il sudore. Meglio, allora, non fermarsi e procedere speditamente. Il sentiero prevede parti attrezzate non difficili, ma che comunque richiedono attenzione: per prudenza adopero cordino e moschettone. Fin dall'inizio dell'escursione incontro parecchia gente, malgrado si sia ancora in luglio e quello di oggi sia un giorno infrasettimanale; a un certo punto avverto nell'aria il solito accento familiare: mi giro e chiedo al mio interlocutore, un signore di mezza età, se è delle mie parti. Lui conferma: è di Prato. La risalita lungo la buia e fredda Val Setus, il cui apocalittico segnavia, 666, è quantomai in tema con l'ambiente naturale, prosegue senza problemi. Nella parte alta c'è un nevaio, abbastanza ovvio dato che siamo ancora all'inizio della stagione; il manto è però compatto e ci sono abbondanti tracce di passaggio.

I prati del Passo Gardena e i
Pizzes da Cir dalla Val Setus

Il nevaio lungo la Val Setus

Ancora funi metalliche e scalini infissi nella roccia prima di sbucare sull'altopiano superiore; poi basta una deviazione a sinistra di pochi minuti ed ecco il Rifugio Franco Cavazza al Pisciadù. Qui incombe la poderosa mole della Cima Pisciadù, che da questo lato presenta immani, verticali pareti; io, invece, per raggiungerne la vetta dovrò risalire il Vallone del Pisciadù aggirando la montagna a ovest.

L'imponente Cima Pisciadù
dal Rifugio Cavazza

Un tratto ferrato lungo la Val Setus

Fin qui ho impiegato un'ora e mezzo: un ottimo tempo, malgrado il caldo. Non sono stanco, quindi riparto subito. Lasciato alla mia destra il Lago del Pisciadù, proseguo lungo il sentiero detritico, finché, all'imbocco della Val di Tita, trovo un bivio. Come già sapevo, tenendo la sinistra imboccherei un ripido canalone ghiaioso; scegliendo la destra, per contro, affronterei un tratto attrezzato su roccia. I due itinerari, poi, in alto si ricongiungono. Per rendere più varia la mia escursione, decido di fare la ferrata in salita, riservandomi il canalone, altrimenti faticoso, per la discesa. Indosso anche il casco, poi piazzo il moschettone sulla prima fune metallica. Questo breve segmento "alpinistico" è forse un po' più impegnativo rispetto alla Val Setus, ma comunque tutt'altro che impossibile dal punto di vista tecnico. Quando ritrovo il normale sentiero, incoccio in un gruppo di giovani (20-25 anni) di Perugia. Hanno appena fatto la Tridentina, e come me sono diretti su Cima Pisciadù. Caciaroni ma simpatici, si divertono a far palle di neve, per poi lanciarle in aria e fotografarle 'in volo'... Proseguo in loro compagnia, e in poco tempo siamo alla Sella di Val di Tita, in pratica il punto di partenza della "normale" alla Cima Pisciadù.

Un passaggio attrezzato
lungo la Val di Tita

La Cima Pisciadù dalla Sella di Val di Tita

Dopo un primo terrazzo, la salita prevede il superamento di una cospicua serie di gradini naturali: gli appoggi per i piedi e gli appigli per le mani sono in gran numero, inoltre la pendenza non è mai esasperata. Per questo la via non presenta difficoltà apprezzabili per chi è già un po' abituato ad arrampicare; nondimeno alcune cenge sono abbastanza esposte ed è sempre bene non distrarsi. I miei compagni d'avventura si divertono a fermare le persone, chiedendo loro, con faccia tosta: "Scusi, c'è in cima una seggiovia che riporta in valle?", oppure: "E' vero che in vetta c'è una signora che distribuisce grappe e fette di salame?", "No, non è una signora, ma una ragazza in topless!", aggiunge subito uno di loro. Rimango contagiato da questo allegro clima goliardico che mi riporta indietro a quei tempi scolastici di cui francamente non conservo un buon ricordo, ma dei quali certo rimpiango la spensierata gaiezza legata all'età giovanile. Alle 12,45 la cima è raggiunta.

I miei amici perugini lungo la non
difficile "normale" alla Cima Pisciadù

La croce in vetta alla Cima Pisciadù

Il panorama è davvero superbo e fiabesco, comprendendo innanzitutto le varie vette del Sella da un'inconsueto angolo di visuale: e così da un lato ho l'altopiano delle Mesules, poi il Sas Pordoi e il Piz Boè, quindi, oltre la Val de Mezdì, il Sas dles Nu, il Sas dles Diesc e il Piz da Lèch. Sotto di me, quant'è bassa la Torre Exner, dove si svolge la Ferrata Tridentina! Un po' più lontani sono infine il Sassolungo, il Sassongher e il Civetta. Purtroppo il tempo è rapidamente peggiorato, e dopo mezz'ora cominciano le prime gocce. Ho già mangiato un po', per cui scatto le ultime foto e riparto. Addirittura alcuni chicchi di grandine lasciano presagire il peggio, ma per fortuna il fenomeno è di breve durata; mi affretto comunque a scendere, temendo giustamente l'insidia delle rocce bagnate. Ripercorro con prudenza la via normale e, quando mi ritrovo alla Sella di Val di Tita, addirittura esce un pallido sole.

Il Piz Boè dalla Cima Pisciadù

Io in discesa dalla Cima Pisciadù: l'ultima
paretina prima della Sella di Val di Tita

Per quanto effimero, questo miglioramento mi invita a una nuova sosta, che mi permette di finire di incamerare le calorie necessarie al prosieguo dell'escursione. Ne approfitto per rimirare il Vallone di Pisciadù, costellato di abbondanti chiazze di neve, come del resto un po' tutto il Sella. La variabilità atmosferica è comunque costante, per cui non indugio oltre e riprendo la discesa. Giunto al bivio col tratto ferrato, come detto decido invece di affrontare il ripido canalone ghiaioso. Incontro alcuni escursionisti che lo stanno risalendo con grande fatica. La mia scelta di riservarmelo per la discesa si rivela azzeccata, e in poco tempo sono alla sua base: è stato sufficiente fare attenzione a non perdere l'equilibrio. La sosta al Rifugio Cavazza è forzatamente limitata al solo acquisto della cartolina ricordo: sulle Odle incombono dei nerissimi nuvoloni, segno evidente di un temporale già in atto.

Il Lago Pisciadù e il Rifugio Cavazza.
Sulle Odle c'è già il temporale!

Il ripido canalone, alternativo al tratto
ferrato. L'ho affrontato in discesa

La Val Setus mi appare adesso ancor più buia del solito, e dei minacciosi, cupi tuoni rimbombano sinistramente fra le vicine pareti. "E' necessario fare in fretta!", penso fra me. "Se dovesse cominciare a piovere, le attrezzature metalliche si trasformerebbero fatalmente in un pericoloso parafulmine!". Purtroppo correre non si può: lungo la via ferrata trovo lunghe, estenuanti code; ci sono infatti anche tutti quelli che stanno rientrando dalla Tridentina. I rumori dal cielo sono sempre più agghiaccianti, e spesso impreco a denti stretti contro l'imbranataggine di chi mi precede... Ma Giove Pluvio, almeno per ora, ha deciso di non sfogare i propri istinti; finito il tratto attrezzato, finalmente ho spazio per i sorpassi, e in un baleno saluto e supero tutti, lanciandomi a grandi balzi e infinito divertimento lungo il ghiaione conclusivo. Alle tre e mezzo sono già in macchina e, quando accendo il motore per ripartire, ecco che comincia a piovere a dirotto... M'è andata bene!

[Dolomiti 2006]