XV: Le Mandre - Lago di Lagorai - Forcella di Lagorai - Cima Lasté delle Sute -
Forcella di Lagorai - Cima di Lagorai - Cimon di Busa della Neve -
Forcella di Lagorai - Lago di Lagorai - Le Mandre
(a piedi)

Incredibile ma vero, in tutti questi anni di frequentazione dei Lagorai non avevo mai percorso la valle omonima, quella col grande lago che ha poi dato il nome all'intera catena. Oltretutto, al culmine di questa valle ci sono delle belle vette, alte e appartate, che meritano certamente una visita. Dunque rimedio quest'oggi, e dalla località Lago di Tesero devio verso sud con la macchina lungo la strada forestale della Val Lagorai, finché non incontro la sbarra che impedisce il proseguimento al traffico privato: sono circa all'altezza de Le Mandre, a poco più di 1500 metri. So già che mi aspetta un lungo percorso, con un rilevante dislivello: dunque gambe in spalla e pedalare! A proposito di pedalare, ecco una piccola ma doverosa nota per i bikers. Consiglio di non avventurarsi con la bici da montagna lungo questa valle, data la continua e notevole pendenza cui si accompagna un fondo inadatto, che spesso, nei punti più ripidi, si identifica nel gibboso lastricato militare. Già, perché anche qui, come in molte altre zone limitrofe, nel 1915-1918 si è combattuto aspramente, e le testimonianze di ciò saranno ancor più importanti quando mi troverò in quota. La fatica della salita nel bosco è compensata dalla lussureggiante vegetazione che mi circonda, compresi i variopinti fiori tipici di questi luoghi. Nelle orecchie ho il borbottio del Rio Lagorai, che più in alto, ai piedi della Cima Formion, cade in una spettacolare cascatella.

Il lastricato militare e i
magnifici fiori della Val Lagorai

Il Rio Lagorai incastonato fra lisce rocce

Giungo in un ampio pianoro: è appunto quello occupato dal triangolare Lago di Lagorai, il maggiore di tutto il gruppo, coi suoi 660 metri di lunghezza e 310 di larghezza. La carrareccia lo costeggia sul lato ovest, permettendo così di ammirarne i riflessi da varie posizioni.

Il vasto Lago di Lagorai

Bei riflessi sulle scure acque
del Lago di Lagorai

Adesso il tracciato si restringe a sentiero e attraversa una larga prateria, poi riprende a salire. Davanti a me c'è la Forcella del Vallone, verso la quale non devo però dirigermi; a un bivio, infatti, tengo la sinistra rimanendo sul n° 316. Entro così nella Valle dei Laghetti: una zona solitaria, lontana da qualunque centro abitato. Il silenzio è perfetto, rotto solo dai campanacci delle mucche al pascolo. L'ascesa sembra non finire mai; pur non essendo stanco, avrei piacere di intravedere le cime che costituiscono le mie mète di quest'oggi. Raggiungo una comitiva di escursionisti, e insieme commentiamo le bizzarrie delle previsioni meteorologiche: avevano previsto bel tempo, e in effetti di primo mattino il cielo era allettante, ma ora, soprattutto in alto, ristagnano diverse nuvole. A dire il vero non sembra profilarsi la minaccia di temporali, però la visibilità ne risente. Ecco i due laghetti, che mi appaiono pittoreschi malgrado la luce non certo ottimale. Ancora un breve sforzo e la Forcella di Lagorai è raggiunta, dopo tre ore e tre quarti dalla mia partenza. Un'occhiata alla carta: a destra dovrei avere la Cima di Lagorai, ma questa è completamente nascosta dalla nebbia; a sinistra la Cima Lasté delle Sute, più alta e oltretutto sgombra di nubi. Decido dunque di dare la precedenza a quest'ultima, e insieme coi miei estemporanei compagni di gita mi immetto sul n° 321 (detto "Translagorai" in quanto attraversa l'intera catena). Il sentiero, "puntinato" sulle carte e dunque "per esperti", rimonta faticosamente una gran distesa di pietroni, poi, con uno strappo molto ripido e sfruttando una scalinata militare, ci si arrampica su una forcelletta. Gli altri escursionisti sono diretti al Rifugio Cauriol e dunque si mantengono sul 321; li saluto e mi preparo a raggiungere l'ormai vicina vetta.

Cima Lasté delle Sute. In basso il
sentiero 321 che la taglia in costa

La scalinata militare: bisogna aiutarsi con le mani

Mi trovo su quella vasta distesa di massi denominata Lasté delle Sute, che, senza percorso obbligato, risalgo nei punti che mi sembrano più agevoli. Qualche volta uso le mani ma le difficoltà sono obiettivamente minime, e in breve raggiungo il punto più alto della cresta sommitale, a metri 2616. Si tratta della quota maggiore di questa zona dei Lagorai, per cui, soddisfatto di aver aggiunto un'altra significativa vetta al mio palmarès, posso finalmente fermarmi. Lo stomaco brontola a chiare note, e ne ha ben donde: sono già le due meno un quarto, e sto camminando da quasi cinque ore! Il riposo... pappatorio è dunque adeguato, anche perché le condizioni del tempo non mostrano peggioramenti. La giornata è sempre grigiastra, però ogni tanto ci sono delle schiarite che mi permettono di immortalare le vette circostanti: a ovest il Cimon di Val Moena, il Castel di Bombasel e il Cimon del To della Trappola; a est il Castel delle Aie, Cima Litegosa, il Cimon di Lasteolo e Cima Copola.

Un'incomparabile visione selvaggia
dalla Cima Lasté delle Sute

La Cima di Lagorai dalla Cima Lasté delle Sute

Verso le tre è però il caso di ripartire, anche perché ho ancora propositi... bellicosi. Nel tornare alla forcelletta incontro notevoli reperti di guerra, come pezzi di stufa e rotoli di filo spinato ancora da usare. Poi ridiscendo alla Forcella di Lagorai.

Un rotolo di filo spinato
della Grande Guerra

I caratteristici, lunari
lastroni dei Lasté delle Sute

La Cima di Lagorai pare lì a portata di mano, roba di mezz'ora circa, ma per raggiungerla occorre intuito nel seguire il giusto percorso districandosi fra le varie tracce di guerra. Oltretutto, poi, la nebbia che continua a stazionare mi impedisce di vedere lo sbocco, su in alto, di tali tracce. Inizialmente seguo la via più diretta, avventurandomi in un canalino nel mezzo della montagna. Ma, arrivato sul tratto sommitale, mi rendo conto che c'è da affrontare una difficile arrampicata, per cui torno indietro e risalgo sulla destra, così da raggiungere la cresta da ovest. A pochi metri dal culmine, mi aspetta una spiacevole sorpresa. Ringhio fra me: "Maledizione! Questa non è la vetta principale, ma una diramazione secondaria a ovest. Devo tornare indietro...". Se non altro, dal nuovo punto di osservazione riesco a intuire la giusta via, per cui, ridisceso per la seconda volta ai piedi della montagna, stavolta bado a tenermi sulla sinistra (est). Le tracce, più nette e sicure, in breve mi permettono di sormontare un'anticima; la vetta vera e propria, di altezza pressoché pari, rimane leggermente di dietro, e per raggiungerla devo solo percorrere una breve crestina di collegamento. E finalmente, dopo i due tentativi a vuoto di poc'anzi, arrivo a toccare il vistoso ometto posto sul culmine, a metri 2530. Molto belle le vedute verso la Valle dei Laghetti e il Castel di Bombasel, mentre la Cima Lasté delle Sute precipita su questo lato in vertiginose pareti verticali.

L'alto ometto di sassi
sulla Cima di Lagorai

La Valle dei Laghetti e il Castel
di Bombasel dalla Cima di Lagorai

Tali affreschi naturali mi ripagano per intero della fatica compiuta, ma poi avviene un fatto che mi induce a ritenere di non aver completato le ascese per quest'oggi. Dentro lo zaino, infatti, ho portato il libro di Colli e Boninsegna "Le valli dell'Avisio", e qui trovo una foto e un'indicazione che mi danno da pensare. Per Cima di Lagorai, in questo testo, si indica un rilievo più a ovest, comprendente un torrione inclinato a forma di parallelepipedo. Dalla mia vetta questa inconfondibile roccia è visibilissima. Andando però a scavare nella memoria ciò che avevo letto su altri testi, primo fra tutti l'assai attendibile "Escursioni - Lagorai" di Borziello, da quella parte dovrebbe in realtà esserci il leggermente più alto (2585 metri) Cimon di Busa della Neve. Una mia stima a occhio, approssimativa ma comunque verosimile, è che tale montagna a ovest sia appunto più alta di una cinquantina di metri rispetto al punto in cui adesso mi trovo, la cui quota mi è fra l'altro confermata dall'altimetro nei 2530 metri succitati. Che fare? Mi prende la... "smania completistica", per cui torno giù e, una volta ritrovato il sentiero che corre in costa, devio a sinistra fino a raggiungere la base della nuova montagna. Non è mia abitudine iniziare un'ascensione alle quattro inoltrate del pomeriggio, ma, stimando di essere in cima in non molto tempo, decido stavolta di fare un'eccezione e mi lancio per l'ultima avventura odierna. Anche qui ci sono delle tracce di guerra che, pur incerte, in qualche modo aiutano a scegliere i passaggi migliori. Cavo fuori dal mio corpo le ultime energie, ma la stanchezza è tanta: sono quasi "ipnotizzato" dai pietroni che oggi, in gran numero, ho dovuto e devo scavalcare. Cerco di star calmo e di riflettere non lasciandomi cogliere dalla fretta, specie quando incontro un diedrino di un paio di metri che necessita di alcuni passi di arrampicata, peraltro facili in virtù del terreno non verticale. Più in alto trovo altre roccette dove mi aiuto con le mani, ma ormai la sommità è lì vicina, e finalmente sbuco sull'angusta vetta, contrassegnata da pochi sassi a mo' di ometto. La gioia per la mia terza vetta giornaliera è tanta (successive ricerche mi confermeranno trattarsi proprio del Cimon di Busa della Neve), e un attimo di pausa per riprendere fiato e dare uno sguardo ai suggestivi panorami posso proprio concedermelo.

Le varie elevazioni del
Cimon di Busa della Neve

Terza vetta della giornata!

Ma è ormai ora di iniziare il lungo percorso di rientro, per cui torno sui miei passi. Appena iniziata la discesa, noto fra le rocce una marmotta tranquillamente seduta: è l'unico segno di vita da molte ore a questa parte, dato che, dopo la comitiva succitata, non ho più incontrato anima viva. Raggiungo ancora la Forcella di Lagorai. Qua i segni della Grande Guerra mi invitano a una breve esplorazione: caverne, trincee e pezzi di stufa mi fanno pensare di nuovo alle condizioni di vita assurdamente precarie di tanti innocenti.

Una caverna e una trincea della Grande Guerra presso la Forcella di Lagorai

In cielo si alternano schiarite e momenti di oscurità, però il tempo per fortuna regge lungo tutto il mio ritorno, che da qui in avanti segue il percorso dell'andata. Quando ritrovo la macchina presso Le Mandre sono già le 19, e con soddisfazione archivio questa gita che, con le sue tre vette (più i due tentativi a vuoto), mi ha richiesto un cospicuo impegno psicofisico.

[Dolomiti 2005]