XX: Alba di Canazei - Ciampac - Sella Brunéch - Sass Bianch de Roseal -
Ciamp de Mez - Forcia Neigra - Ciampac - Alba di Canazei
(a piedi)

Dopo alcuni giorni di maltempo, sfruttati per curare la raucedine venutami per la pioggia e il freddo patiti nella precedente gita al Dos dai Branchi, per questa nuova escursione mi sposto in alta Val di Fassa: per l'esattezza nella zona del Collac, non distante dalla Marmolada. Quello che affronto è un panoramico itinerario ad anello che include anche il sentiero attrezzato "Lino Pederiva". Da Alba di Canazei devo prima di tutto raggiungere il pianoro denominato Ciampac: per farlo potrei servirmi della funivia, ma la mia naturale avversione ai mezzi di risalita artificiali mi spinge a cominciare in bellezza la giornata usando fin da subito le gambe. La ripidissima carrareccia sale con poche svolte guadagnando quota con grande rapidità; alle mie spalle il gruppo del Sella si staglia nel cielo. L'azzurro è un po' pallido, e infatti per tutta la giornata vi sarà una certa variabilità.

Bel "tabià" con fiori ad Alba di Canazei

Il gruppo del Sella dalla salita verso il Ciampac

In un'oretta ho già rimontato gli oltre 600 metri di dislivello da Alba arrivando al Ciampac. La conca circostante è ad alto sfruttamento sciistico, e purtroppo si vede: dappertutto vi sono seggiovie e skilift, mentre il colmo della pacchianeria è raggiunto dalle colorate attrezzature gonfiabili riservate ai bambini, che stonano irrimediabilmente nel contesto. Mentre prima ero da solo o quasi, da qui in avanti sarò costantemente preceduto e seguito dai molti gitanti arrivati quassù grazie agli impianti di risalita. Già vedo davanti a me il momento-clou della mia escursione odierna: la cresta del Roseal, su cui si snoda la prima parte del Sentiero Lino Pederiva. Per raggiungerne l'attacco devo però salire ancora, fino ai 2428 metri della Sella Brunéch. Ovviamente rinuncio all'utilizzo dell'apposita seggiovia e in campo aperto rimonto il pendio. Mi basta una mezz'oretta e già sono alla forcella, dove gli abbondanti cartelli indicatori segnalano le molteplici direzioni che si possono prendere. Affacciandomi sulla sottostante Val Giumela, ho modo di toccare con mano lo scempio perpetrato ai suoi danni: le verdeggianti pendici sono invase da orribili piloni, così da permettere in inverno ai "signori sciatori" un unico, demenziale carosello Ciampac-Buffaure... Complimenti, cari amministratori locali! Avete escogitato l'ennesimo, squallido stratagemma per rimpinguarvi i portafogli; intanto, però, avete distrutto per sempre uno dei pochissimi angoli incontaminati della Val di Fassa, un vero Paradiso! Mentre sono immerso in questi (rabbiosi) pensieri, ecco che lì vicino scopro una faccia a me nota, che mi restituisce il sorriso: "No, non ci posso credere!", gli dico. "Se ci fossimo messi d'accordo, non ci saremmo incontrati con la stessa facilità!", mi risponde lui scherzando. E' il simpatico Baffoni, l'addetto alle pulizie del nostro condominio a Firenze. Ritrovarsi casualmente a circa 450 chilometri di distanza e in alta quota, è evento davvero singolare. Lui è qui con la famiglia e alcuni amici; stiamo un po' a chiacchierare, poi, verso le 11, decido che è il momento di attaccare il Sentiero Pederiva.

Gli orrendi piloni in Val Giumela. Un
angolo di Paradiso distrutto per sempre!

L'inatteso incontro col mitico
Baffoni alla Sella Brunéch!

La prima parte, non attrezzata, percorre la già citata cresta del Roseal. Si tratta di un emozionante saliscendi lungo un filo sommitale abbastanza sottile ma comodo, che non crea problemi al normale escursionista esente da vertigini: c'è infatti parecchia gente lungo il percorso, e i toscani si confermano anche qui in numero significativo. Laddove ravviso delle cadenze familiari, mi viene naturale scambiare qualche battuta; trovo ad esempio dei coniugi di Siena, poi una coppia di Massa Marittima, e così via. Tutti quelli che hanno visitato anche altre montagne, dalla Val d'Aosta alla Carnia, dunque da un estremo all'altro delle Alpi, mi dicono senza incertezze che le Dolomiti sono le più belle. Personalmente io non posso confermare né smentire, dato che conosco solo queste ultime; ma a quanto pare sono fortunato a trascorrere qui le mie ferie. Ciò che invece quest'oggi mi infastidisce è l'elevato numero di cani, tutti rigorosamente slegati. Da qualche anno s'è diffuso il malcostume di portare tali bestie nei sentieri di montagna, per poi lasciarli liberi come se qui vi fossero dei diritti particolari che lo permettono. Non è così, e il perché lo si può facilmente capire: un sentiero come quello del Roseal è sì tranquillo e facile, ma - come si intuisce dalla foto - le conseguenze di una caduta sarebbero gravi. Ora, qualunque animale è per sua stessa natura imprevedibile, quindi un cane va tenuto sempre al guinzaglio. E questo a maggior ragione in montagna, dove un movimento brusco potrebbe provocare danni drammatici agli escursionisti. A me è capitato più volte di dover "inchiodare" con la mountain bike a causa dei cani sciolti, discutendo poi più o meno pacatamente coi loro padroni. A scanso di equivoci, visto che di questi tempi ci vuol poco per esser tacciati di antianimalisti o di politicamente scorretti, preciso che non ce l'ho con i cani, com'è ovvio, ma con i loro padroni. Un cane si comporta da cane: sta al suo possessore il tenerlo legato fuori dagli spazi privati. Troppo spesso certi padroni dimenticano (o fanno finta di dimenticare...) che la legge impone il guinzaglio nei luoghi pubblici; la montagna non può far eccezione, tanto più se si considera che, nei boschi di Fiemme e Fassa, spesso si trovano dei cartelli che invitano a rispettare tale norma anche nell'interesse della fauna selvatica. I piccoli dei cervidi, se vengono a contatto con i cani, poi finiscono rifiutati dalla loro mamma che non ne riconosce più l'odore!

La cresta del Roseal,
affilata ma percorribile

Cartello che invita a rispettare la fauna selvatica.
Cari padroni, tenete i cani al guinzaglio!

Chiudo l'inciso e torno alla gita. Percorro con calma la cresta del Roseal, anche perché il panorama a tutto tondo è veramente stupendo. Dalle alture del Sas de Adam, Sas de Porcel, Su l'Aut e Col Bel promana il verde intenso dei prati; molto suggestivo è il vicino Collac, come pure i gruppi della Vallaccia e dei Monzoni, ammirabili nella loro interezza dalla parte opposta della Val San Nicolò, sulla quale dominano le brevi ma verticali pareti dei Maerins, che fungono da palestra di arrampicata estrema. A mezzogiorno sono sul Sass Bianch de Roseal, il culmine della cresta: è il momento di una giusta pausa rifocillatoria.

In vetta al Sass Bianch de Roseal. Dietro di me il Collac

Il sentiero poi prosegue fino a una selletta in prossimità del Sas de Roces: una montagna basaltica, ben più scura delle precedenti. Qui cominciano le funi metalliche, le quali permettono di aggirare tale aspro rilievo mantenendosi sul suo fianco destro. Proprio all'inizio del tratto attrezzato c'è una ragazza che non riesce ad andare avanti. Il sentiero è comodo e l'esposizione minima, tuttavia lei è immobile, pietrificata dal terrore. Il suo ragazzo è qualche metro davanti: le dice come muoversi e di farlo senza guardare in giù, ma la giovane non riesce a schiodarsi dalla sua posizione. In poco tempo alle sue spalle si forma una notevole coda di gitanti, fra i quali il sottoscritto. D'altronde in quel punto non si può sorpassare, e dobbiamo attendere che la situazione si risolva. Alla fine la ragazza riesce a muovere qualche passo e a spostarsi di lato, così da permettere a noialtri di superarla. Sinceramente non ho poi seguito l'evolversi della cosa, ma mi auguro che i due abbiano avuto l'accortezza di tornare indietro! Continuando il tratto ferrato, constato che gli infissi servono più che altro per sicurezza, perché le difficoltà sono obiettivamente irrilevanti. Preferisco comunque usare cordino e moschettone, il che non costituisce tutto questo gran disturbo, eppoi la prudenza non è mai troppa.

Due passaggi attrezzati lungo il sentiero "Lino Pederiva"

Le funi terminano in prossimità di un'altra selletta, sotto la quale si stendono gli ampi e riposanti pascoli del Ciamp de Mez. A parte una grossa marmotta, bella tranquilla in cima a un masso, la mia attenzione è ben presto catalizzata dal nuovo scenario che mi si para davanti: posso vedere tutta la cresta del Costabella, fino a Cima Uomo. Girandomi verso sinistra, c'è poi il piramidale Col Ombert; si prosegue in bellezza col Sasso Vernale e la Cima Ombretta, per finire con la Marmolada e il Gran Vernel... Fantastico! La visibilità non è purtroppo delle migliori, però questo non guasta il mio appagamento. Dal termine del sentiero attrezzato arriva un corpulento e anziano signore, parecchio sbuffante a causa della fatica. Chiede a una persona vicino a me di scattargli una foto. "Così, per avere un ricordo", dice. "Eh sì, i ricordi...", aggiunge dopo un attimo di riflessione. Veniamo così a sapere che ha 81 anni e che sua moglie è morta appena da 25 giorni, e che lui ha voluto ripercorrere questa via già fatta insieme a lei. Rimaniamo tutti commossi da questo racconto, che unisce due amori diversi ma complementari: quello per la partner della vita e quello per la montagna.

Una grossa marmotta in cima a un masso

Cima Ombretta e Sasso Vernale

Scendo nell'ameno Ciamp de Mez, dove faccio un'altra sosta. Una breve cresta secondaria, quella dei Varos, appare disseminata di caverne e postazioni della Grande Guerra.

Un attimo di riposo al Ciamp de Mez

La cresta dei Varos

Ecco un incrocio: proseguendo diritto arriverei al Passo San Nicolò; invece io giro a sinistra, puntando a quel ben visibile intaglio compreso fra la Croda Negra e la Torre Dantone. Mentre la salita si fa di nuovo sentire, un'altra marmotta mi attraversa rapidissima il sentiero. Il culmine è un punto d'osservazione davvero privilegiato per il gruppo della Marmolada, su cui intravedo abbondanti chiazze di neve fresca dovuta al maltempo dei giorni scorsi, e lo stesso vale per il Piz Boè, la vetta più alta del gruppo del Sella.

La parete sud della Marmolada dalla salita verso la Forcia Neigra

Per arrivare alla Forcia Neigra è adesso necessario perdere un po' di quota lungo un tratto moderatamente roccioso, anch'esso attrezzato. L'impegno è peraltro breve e le difficoltà risultano minime; un paio di scalini artificiali permettono di superare una placca un po' liscia, ma non vi sono reali problemi.

L'inizio del tratto ferrato
verso la Forcia Neigra

Un paio di scalini metallici aiutano a
superare questo breve passaggio verticale

Le funi metalliche finiscono alla base di una piccola conca, dopodiché devo affrontare un ultimo breve strappo in salita che mi conduce ai 2509 metri della Forcia Neigra, un ampio spallone erboso che costituisce il punto più alto della mia escursione odierna. Sotto di me rivedo il Ciampac, e da qui in avanti sarà solo discesa: un po' ripida, ma solo nel primo tratto, quella che mi riporta al Ciampac medesimo; costantemente "spaccaginocchia", invece, quella che mi consente il rientro ad Alba, e che peraltro coincide con l'itinerario dell'andata. Mi sento bene e per fortuna non provo dolori o fatica particolare, così brucio quest'ultima parte in appena mezz'ora, terminando l'escursione alle 16,15. Un giro bellissimo e raccomandabile, adatto a chiunque sia dotato di un minimo di piede fermo e assenza di vertigini.

[Dolomiti 2005]