IX: Passo Fedaia - Porta Vescovo - Belvedere - La Forfesc - Col de Pausa - Sasso Cappello
Croda Larice - Col del Cuch - Rifugio Fredarola - Rifugio Viel dal Pan - Passo Fedaia
(a piedi)

Il Gran Vernel dal Belvedere

Il Sasso Cappello

In vetta al Sasso Cappello.
Sullo sfondo il gruppo del Sassolungo

Il Piz Boè dal Col del Cuch

Gita faticosa ma estremamente appagante, il "Sentiero delle Creste", ad ovest di Porta Vescovo sopra il Passo Fedaia, permette di ammirare senza soluzione di continuità panorami davvero mozzafiato! In apparenza non vi sono grossi dislivelli, ma i continui saliscendi e la lunghezza dell'itinerario, che oltretutto si svolge ad altitudini intorno ai 2500 metri, mettono a dura prova fiato e gambe. La parte più ripida della salita è quella iniziale, subito sopra il Passo Fedaia: il sentiero si inerpica deciso fino a raggiungere Porta Vescovo, oltre la quale si distendono Arabba e Livinallongo. Proseguo sulla sinistra arrivando in vetta al Belvedere, che con i suoi 2648 metri costituisce fra l'altro la maggiore elevazione della giornata. Il colpo d'occhio sulla Marmolada è di quelli indimenticabili, tuttavia non posso fare a meno di notare che quest'anno il ghiacciaio è grigiastro e ridottissimo; in molti punti affiorano le rocce. Un primo, breve riposo, durante il quale scatto alcune foto, poi procedo lungo la cresta. Sono diverse le cime che via via tocco, sempre senza rilevanti difficoltà; il tempo è magnifico e questo è certo importante dal punto di vista della sicurezza, dato che il percorso è tutto sul crinale. Incontro alcune persone, però poche: ben di più sono quelle che camminano lungo il sottostante Viel dal Pan, classico sentiero che io utilizzerò per il ritorno. La parte centrale della cresta è occupata dal Sasso Cappello, altura così denominata per la curiosa forma a copricapo, la cui salita (escludibile) richiede alcuni passi di arrampicata su roccia. Ma io mi sento in forma e tranquillo, supero qualche tratto di 1° grado e in breve sono in cima. L'ora è ormai quella giusta per mangiare, dunque mi appresto a fare la sosta "lunga". Trovo diversi escursionisti a farmi compagnia, fra cui una simpatica coppia di mezza età. L'accento mi sembra subito familiare, e così azzardo: "Per caso siete di Firenze?...". "Certo, di Santo Spirito, per la precisione!", mi rispondono. "Ah, io invece del Campo di Marte!", aggiungo. Il mondo è davvero piccolo... Un'altra triade di gitanti mi è invece meno gradita. Si tratta di padre, figlia ventenne (o giù di lì) e relativo fratello (o fidanzato). Lei si piazza come un'aragosta al sole indossando solo un bikini marittimo. Apprezzo le grazie fisiche della signorina, peccato però che costei ben presto inizi a vociare coi suoi accompagnatori, chiedendo insistentemente com'è la sua abbronzatura. Credo che un simile contegno sia forse appropriato sulla spiaggia di Rimini, non certo su una vetta dolomitica, dove è lecito esigere pace e tranquillità! Gli orribili suonini sintetici scatenati dai loro cellulari sono la goccia che fa traboccare il vaso, convincendomi a riprendere il cammino. La cresta prevede ancora il superamento di alcune cime, dalle quali si ammirano, con sempre maggiori dettagli, il gruppo del Sassolungo e il Piz Boè col Sella. Comincio ad avvertire la stanchezza quando scendo al Rifugio Fredarola, ma c'è ancora da affrontare tutto il rientro in costa lungo il già citato Viel dal Pan. I deboli guadagni e perdite di quota mi sembrano ora molto più faticosi, ma con pazienza mi ritrovo sopra al Passo Fedaia, che vedo come se fossi in elicottero. Nonostante il Viel dal Pan venga spesso descritto come il "sentiero facile" per antonomasia, nei tempi recenti qualcuno ci ha perso la vita, e verosimilmente ciò è avvenuto lungo quest'ultimo tratto, per nulla difficile ma ripido e a tratti esposto: scivolare in alcuni passaggi 'topici' significa non fermarsi più... Dunque, anche se la voglia di concludere la gita in fretta costituisce ora una tentazione notevole, preferisco dosare per bene le forze e impiegare quei pochi minuti in più che l'indolenzimento alle gambe mi impone, concludendo il giro in sette ore e mezzo complessive.

[Dolomiti 2003]