IV: Passo San Pellegrino - Passo delle Selle - Lastei Piccolo - Lastei Grande -
Cima Campagnaccia - Cima di Costabella - Sasso di Costabella -
Forcella del Ciadin - Passo San Pellegrino
(a piedi)

Se, così come è avvenuto per l'estate 2002 con la Marmolada, dovessi scegliere anche per questo 2003 un 'momento-culmine' per quanto riguarda le mie gite, allora opto per la fantastica giornata trascorsa sulla Cresta del Costabella, lungo la via ferrata "Bepi Zac". Da tempo meditavo di affrontare tale panoramicissimo percorso in quota, lungo i ripristinati sentieri militari della Prima Guerra Mondiale, ma mi ero sempre trattenuto: benché le difficoltà tecniche vengano unanimemente descritte come più che abbordabili per l'escursionista esperto, si tratta pur sempre di un percorso attrezzato d'alta montagna, lungo e faticoso; poi l'andare in giro da solo m'impone una prudenza ancora maggiore. Ma ora sentivo che era il caso di mollare gli indugi, confidando poi sul fatto che nella prima metà di agosto si trova sempre qualcuno su questi itinerari abbondantemente pubblicizzati in valle. E alla verifica pratica ho incontrato parecchia gente, la stragrande maggioranza della quale poco esperta dal punto di vista tecnico e soprattutto male equipaggiata. La mattina presto arrivo al Passo San Pellegrino; rinuncio a servirmi della seggiovia - che peraltro mi avrebbe fatto risparmiare appena 200 metri di dislivello - e mi avvio lungo l'assolata conca che sovrasta il passo. La giornata è inizialmente caldissima, e come nelle gite precedenti non posso non meravigliarmi che a oltre 2000 metri quest'anno si debba sudare così tanto! Il "serpentone" di gitanti che si sta inerpicando verso il Passo delle Selle è notevole; mi domando quanti di questi affronteranno la ferrata, il cui percorso già mi immagino guardando il profilo della catena, interamente sgombro di nubi.

In un'oretta sono ai 2530 metri del passo: mi fermo a tirare il fiato, e ne approfitto per legarmi alla vita il cordino, a cui aggancio i moschettoni. Subito sopra, il sentiero sale erto per la prima elevazione: il Piccolo Lastei. Mi chiedo se sia già il caso di indossare il casco; ben presto la mia indecisione è dissipata: poco distante da me sento un grido che invita all'attenzione, dopodiché vedo rotolare un sasso dall'alto. Per fortuna mi trovo a distanza di sicurezza, e ho comunque tutto il tempo per appiattirmi dietro un pinnacolo. La pietra prosegue la sua corsa e colpisce un uomo all'altezza dello scarpone, per fortuna senza conseguenze. Mi metto senza indugi il casco e proseguo. Sul Piccolo Lastei la vista già può spaziare magnificamente, ma la cresta è appena all'inizio, dunque conviene proseguire verso maggiori altitudini. Iniziano le funi metalliche, che rendono sicuro un percorso quantomai vario: si passa fra strette gole, si esce su cenge più o meno esposte, si superano crode, si prosegue su normale sentiero in punti quasi pianeggianti… La noia è assolutamente bandita in questo stupendo itinerario, le cui maggiori attrattive, peraltro, sono costituite dalle vestigia della Grande Guerra. Spesso, sui fianchi della montagna, si aprono grandi caverne, scavate dai soldati con funzione di ricovero e deposito, e che presentano buchi più o meno stretti: evidentemente postazioni di tiro. Qualche volta la montagna è stata perforata da parte a parte, e proprio lungo tali gallerie passa il sentiero.

Il tutto è incredibilmente suggestivo, però non posso fare a meno di riflettere sulle tante energie, sulle troppe vite umane (italiane o austriache non fa differenza) sprecate in quella folle avventura... Come previsto, non ci sono grosse difficoltà tecniche, e i punti con un po' di precipizio sono abbondantemente attrezzati. Fra i miei estemporanei compagni d'avventura, pochi hanno cordino e moschettone e quasi nessuno porta il casco, e vi assicuro che non erano tanti Reinhold Messner, ma gente meno preparata di me... Un passaggio di un paio metri è abbastanza verticale, e per superarlo si devono appoggiare i piedi su alcune staffe metalliche. Nulla di serio, ma tanto basta per mettere in palese difficoltà i suddetti gitanti, ed infatti in quel punto c'è la coda.

Poco più avanti, dietro una curva che mi impedisce di vedere direttamente, avverto un tonfo sordo: non di un sasso che cade, ma piuttosto di una persona! "Tutto a posto?", grido subito. "Sì... sono solo scivolata, non mi sono fatta nulla", è la risposta. Con un sospiro di sollievo proseguo. Trincee e camminamenti sono visibilissimi salendo verso Cima Campagnaccia, l'opposto versante della quale si apre in un ampio spallone che prosegue nella salita verso la maggiore altitudine: i 2759 metri della Cima di Costabella. Lì decido di fare una meritata sosta, rimanendo estasiato dal bellissimo panorama che mi si offre a 360 gradi, comprendendo i Monzoni, la Vallaccia, il Catinaccio, il Collac, il Sella, la Marmolada e Cima Bocche.

Il cielo si è fatto un po' velato, e devo dire che la cosa non mi dispiace, dato che la gran calura diminuisce. Scavalcata la Cima di Costabella, ricominciano i tratti ferrati. Lungo una parete abbastanza esposta si è formata una lunghissima coda. La roccia è tecnicamente elementare, in quanto scalinata dai soldati e resa sicura dalle funi metalliche, ma si vede che il piccolo baratro è sufficiente a impaurire i più. Mi ritrovo fermo per minuti interi; ho tutto il tempo per fare conoscenza con chi precede e segue, scoprendo così che c'è pure gente di Firenze (Novoli)! Mancherebbero solo tè e pasticcini, tanto la progressione è lenta, ma alla fine il 'passaggio cruciale' è superato. L'itinerario prevede ora un ultimo punto caratteristico: il Sasso di Costabella, dalla curiosa forma ogivale. Si può aggirarlo oppure raggiungerne, all'interno, l'ampio osservatorio e postazione di tiro.

La voglia di esplorare ha il sopravvento, pertanto seguo la ferrata che curva sulla destra e poi passa dietro, inoltrandosi nel cuore della montagna. Alla fine sbuco presso la larga apertura, da cui in effetti con un colpo d'occhio si domina buona parte della cresta.

Esco dalla caverna e decido di salire, con percorso libero, sulla sommità del Sasso, cosa che mi impegna solo per qualche minuto. Scendo e mi ricongiungo alla via normale, che in breve porta alla Forcella del Ciadin. La ferrata "Bepi Zac" termina qui (il tratto che porta sulla friabilissima Cima dell'Uomo è stato smantellato anni fa); pertanto scendo con calma lungo il ghiaione. Sfasciumi e resti di trincee continuano ad essere presenti: mi guardo in giro nella speranza di trovare qualche reperto bellico, ma è chiaro che dopo tutti questi anni le cose più significative sono già state prese. Fra le molte scatolette di cibo, completamente illeggibili a causa della ruggine, ne scelgo alcune che mi sembrano le meglio conservate, dopodiché rientro al Passo San Pellegrino. La traversata completa ha richiesto oltre sette ore, soste comprese, ma ne valeva la pena: dentro di me avverto il giusto appagamento di chi ha realizzato un progetto da lungo tempo sognato.

[Dolomiti 2003]