III: Malga Negritella - Forcella Juribrutto - Cima Bocche e ritorno
(a piedi)

Resti di baracche e trincee su Cima Bocche

Cima Bocche dalla Malga Negritella

La Cima Bocche (2745 metri), massima elevazione del gruppo omonimo, fa parte di un territorio che, al pari dei Lagorai, è fortunatamente poco battuto dai gitanti-tipo. Forse la scura roccia porfirica risulta poco... fotogenica per costoro; io, invece, avverto nel mio intimo la più totale soddisfazione quando mi immergo negli sconfinati silenzi che contraddistinguono la zona. Avevo già raggiunto Cima Bocche nel 1983 partendo addirittura a piedi da Moena; qui, invece, decido di salirvi iniziando dalla Malga Negritella, situata un paio di chilometri prima del Passo San Pellegrino. Guadagno rapidamente quota per un bel bosco, che poi si dirada e lascia il posto ai caratteristici e solitari valloni. I fischi delle marmotte sono frequenti, ed in un paio di occasioni riesco anche a vedere quei simpatici animali. Arrivo alla Forcella Juribrutto, oltre la quale si stendono i vasti pianori del Lusia, e subito noto che il tempo, come al solito, sta cambiando: del sereno della prima mattina non c'è più traccia. Accelero il passo e all'incirca in due ore complessive sono in vetta. La nebbia e le nuvole mi avvolgono completamente, conferendo al paesaggio un'atmosfera spettrale. Tutto il crinale è costellato di visibilissimi resti della Guerra '15-'18: le trincee, i camminamenti, i resti di baracche e gli sfasciumi in genere mi portano ancora una volta a riflettere sulla terribile inutilità del sacrificio di quei disgraziati italiani ed austriaci, mandati a massacrarsi e a morire di freddo (l'inverno '16-'17 fu spaventoso) su un fronte che, fra l'altro, era di secondaria importanza. In quella luce quasi lunare chiudo gli occhi e mi sembra di sentire gli spari dei fucili, i colpi dei cannoni, i lamenti dei soldati feriti... Che gran dramma sono le guerre, TUTTE le guerre: non ce n'è nemmeno una "giusta", anche se oggi c'è chi pretende di convincerci del contrario! Ma è ora di scendere, perché il cielo è sempre più grigio. Arrivato alla Forcella Juribrutto, ecco l'imprevisto. Un boato repentino e terrificante mi porta istintivamente a proteggermi la testa con le braccia: un fulmine deve essere caduto a poche decine di metri da me! Giuro che in oltre trent'anni di attività alpinistica non mi era mai successo un fatto del genere. Dirò di più: in tutta la mia vita quello è di gran lunga il rumore più forte che io abbia sentito. Altro che heavy metal... Mi affretto lungo la discesa, e mi rendo conto che le gambe stanno tremando, e neppure poco. Lontano da me, altri escursionisti parlano concitati, mentre i loro bambini piangono a più non posso. Superato il primo attimo di agitazione, rifletto che non è il caso di rischiare un infortunio lungo la discesa, e che la probabilità di beccarsi un fulmine è tutto sommato remota. Dunque procedo senza soste ma anche senza corse rischiose. Seguono altri lampi e tuoni, però più lontani. Ricomincia il bosco e sto più tranquillo, perché non sono più io l'unico oggetto verticale ed isolato a fare da parafulmine: perlomeno l'eventualità va ora suddivisa fra tutti gli alberi. Stranamente comincia a piovere solo più tardi, quando ormai sono in vista della macchina.

[Dolomiti 2002]