Giotto Band

Stazione Lumière

E' sempre piacevole ascoltare del buon sano rock dal vivo. Se, poi, a essere coinvolto nella serata è un amico di lungo corso, allora si può ben comprendere come la motivazione cresca esponenzialmente. La conoscenza di vecchia data cui faccio riferimento è il bassista Enrico Giordani: gli attenti frequentatori dell'underground fiorentino non potranno aver dimenticato la sua lunga militanza nella nota progressive band Nuova Era, che ci ha regalato diverse perle discografiche negli anni '80 e '90.
Quando ormai pensavo che il buon Giordani avesse appeso... lo strumento al chiodo, come la maggioranza dei musicisti dell'epoca, inevitabilmente risucchiati dagli impegni lavorativi e familiari, ecco che per caso vengo invece a sapere dal diretto interessato dell'esistenza di questo
happening in un locale fiorentino. La curiosità di testare la 'versione 2.0' di Enrico mi ha dunque spinto verso il Full Music.
Dopo il buffet, intorno alle 20,15 tocca aprire le danze alla
Giotto Band. Il monicker del gruppo non deriva da aulici riferimenti, come si potrebbe pensare; riprende invece il nome della scuola frequentata dai figli dei vari membri... Ecco quindi sul palco Riccardo Campanelli (voce, chitarra ritmica), Paolo Lorenzini (chitarra solista), Nicola Gentini (basso), Lorenzo Lastrucci (batteria), oltre ovviamente a Enrico Giordani. Due bassisti? Ebbene sì; la scelta può forse apparire strana, ma bisogna tener conto che la Giotto Band è un ensemble nato essenzialmente per divertirsi; il repertorio è infatti costituito per intero da covers. Oltretutto, il batterista Lastrucci talora va a fare il frontman aggiunto, e in quei frangenti è appunto Giordani che va a sostituirlo dietro le pelli: proprio non sapevo che Enrico si dilettasse di più strumenti! Il repertorio della Giotto Band attinge da vari artisti e generi, con ovvia predilezione verso gli anni '70. Nel corso dell'ora della performance, si susseguono dunque i Talking Heads con la nota "Psycho Killer", poi, tra gli altri, Who, Rolling Stones, ma anche Ivan Graziani, Fabrizio De André ("Andrea"), fino a giungere a quanto può maggiormente interessare il prog-fan: la PFM con "Maestro della voce", e le Orme con "Amico di ieri" e, verso la fine dell'esibizione, la splendida "Sguardo verso il cielo". La Giotto Band suona con entusiasmo e gagliardia, riuscendo sempre a catalizzare l'attenzione dei presenti.
Non posso tuttavia nascondere che attendevo con interesse il
set successivo, appannaggio della Stazione Lumière: già dall'immaginifico nome scelto appare chiaro che il genere di riferimento è, per intero, il rock progressivo d'antan. Ecco dunque un breve cambio della guardia sul palco, ma solo parziale, giacché Lastrucci e Giordani fanno sempre parte del gioco; a loro si aggiungono il chitarrista Lorenzo Lazzaro e il tastierista Ernesto Venturi. Verso le 21,30 il luogo si riempie delle elaborate, magiche trame proposte dal quartetto: tutte composizioni originali. Giordani e Lastrucci, con molta modestia, mi avevano descritto il loro genere come "finto prog": nulla di più falso, quello della Stazione Lumière è, a tutti gli effetti, vero prog, e di quello buono! I molteplici mutamenti tematici provocano infatti chiaroscuri umorali che si susseguono a stretto contatto, giungendo a edificare delle suites in cui la noia è comunque bandita. Buono il livello tecnico del gruppo, anche se la proposta non pare puntare sul virtuosismo. Le tracce sono quasi esclusivamente strumentali, con sporadici interventi vocali del Lastrucci: per quel che mi riguarda va già bene così, ma forse la presenza di un cantante di ruolo (con parti più estese a lui assegnate) potrebbe conferire un'ulteriore, maggior peculiarità. Altri elementi magari rivedibili sono alcuni fraseggi chitarristici simil-funky, un po' fuori contesto (ma qui si va a gusti personali), come pure il peso effettivo delle tastiere, che però subiscono non poco un missaggio imperfetto, che le rende nitide nei passaggi più tenui, ma praticamente inudibili nei "ripieni", sovrastate dagli altri strumenti. Non andiamo, tuttavia, a ricercare il pelo nell'uovo: l'esibizione del gruppo è godibilissima e del tutto soddisfacente, e la avrei gradita ancora più lunga rispetto a quanto avvenuto: invece, alle 22,30 i quattro vengono inopinatamente stoppati per far posto a dei DJ hip-hop. No comment...
Valeva la pena di assistere a questo concerto, non foss'altro per vedere Enrico Giordani che, come il buon vino, migliora invecchiando: un quarto di secolo fa, sul palco, era praticamente immobile; adesso, invece, la sua partecipazione anche a livello fisico appare evidente! Attendiamo sviluppi.
Qui un estratto dell'esibizione della Stazione Lumière: http://youtu.be/p2gfjBLFIlA.

Francesco Fabbri - giugno 2014

Anche se la grafica e l'incisione di questo CD non sono di livello inferiore alla maggioranza delle autoproduzioni ufficiali nel genere di riferimento, il gruppo tiene a render noto che quello in esame è solo un demo, con i limiti che esso comporta. Registrato praticamente in presa diretta, "Pensieri di un viaggiatore nel tempo" racchiude nove tracce, per complessivi tre quarti d'ora d'ascolto.
In effetti, se da un lato la strutturazione dei pezzi può dirsi definitiva, forse qualche sovraincisione in più avrebbe conferito una maggiore maestosità al prog sinfonico della band fiorentina, che però già così è largamente soddisfacente, in virtù dell'intelligenza compositiva e dell'attenzione interpretativa dimostrate dal quartetto.
Le parti strumentali sono preponderanti, giocate fra alternanze tematiche e ritmiche ben cesellate, mai artificiose; ne risulta un sound elaborato ma non pedante, debitore il giusto verso l'epoca d'oro dei Seventies senza per questo apparire datato né, tantomeno, scopiazzato.
Un ruolo importante è rivestito dal tastierista Ernesto Venturi, che pone il suo amore per Tony Banks e il jazz al servizio del gruppo, come si evince fin dall'"Introduzione"; le intuizioni ivi contenute trovano logico compimento nella traccia successiva, una delle mie preferite: "Tempo", la quale vanta un'ottima, orecchiabile melodia, ben cantata dal batterista Lorenzo Lastrucci. A proposito delle parti vocali, la scelta di non ricorrere a un cantante di ruolo può dirsi a questo punto condivisibile, perlomeno quando l'interprete è appunto Lastrucci. "Immagini dal passato" è, a parer mio, l'altro vertice del disco: eccellente saggio di prog dal tipico gusto mediterraneo, può ricordare alla lontana l'operato di PFM e Locanda delle Fate, con ammalianti rintocchi chitarristici che librano l'anima in cielo. Quando pensavi di aver capito tutto, ecco che a scompaginarti le idee ti ritrovi un cupo riff, un po'
à la King's X: questa imprevedibilità va ascritta a merito della band, vedi pure l'intro vagamente maideniana di "Interludio n.1". La title-track rivela belle trame pianistiche di stampo rétro, reminiscenti i Pierrot Lunaire, mentre di "Tra pioggia e nuvole (nero Sapporo)" si ammirano i probanti dialoghi sinfonici. "Interludio n.2" è un gagliardo strumentale con momenti jazzati, intervallati da un rock potente; decisione e stentoreità pure in "Sguardo al futuro", contrassegnata dal bel basso di Enrico Giordani, e chiude il CD la pregevole, aerea melodia di "Eterno viaggio".
L'ensemble si conferma ben affiatato e capace, tanto che le scelte arrangiative sono di norma azzeccate. L'unico particolare che tuttora mi lascia perplesso è l'insistenza nei fraseggi funky da parte del chitarrista  Lorenzo Lazzaro, il quale peraltro - come già detto - dimostra altrove inventiva e sagacia. E, comunque, già adesso la Stazione Lumière si pone come degna rappresentante di quell'
art rock fiorentino che ha visto succedersi nomi come Nuova Era, Trono dei Ricordi e Chiave di Volta.
Contatti: https://www.facebook.com/Stazione-Lumière-812371262108132/.

Francesco Fabbri - ottobre 2015

Dopo tre anni esatti, ho nuovamente l'opportunità di gustarmi un concerto della vivace Giotto Band. L'evento, oltretutto, si svolge a poca distanza da casa mia, presso quel Circolo Affrico che, sinceramente, fin qui conoscevo solo come una polisportiva, e che infatti avevo frequentato per il tennis e il podismo. Non sapevo che, al suo interno, ci fosse un bell'auditorium, dotato di un'acustica davvero buona.
Questo è stato il primo apprezzamento che ho subito potuto fare appena messo piede sul posto. L'esibizione è già iniziata da un po', ma, come gli stessi membri del gruppo mi riveleranno, sarà proprio la seconda metà della serata a offrire le cose migliori. La line-up è la stessa del 2014, eccezion fatta per l'abbandono del batterista Lorenzo Lastrucci, ormai concentrato sul progetto della Stazione Lumière. Il suo sostituto è Alberto Bencini: capelli lunghi e tocco possente, sembra dare un'inclinazione leggermente più hard al sound della band, anche se il diretto interessato poi mi confesserà di non prediligere troppo il rock a tinte metalliche. Fa decisamente caldo, in questi giorni, e all'interno del locale il clima è addirittura torrido. A sudare copiosamente è soprattutto il generoso frontman Riccardo Campanelli, però nel complesso il quintetto pare non risentirne più di tanto, offrendo un live-set spigliato e accattivante. Le cover proposte risultano ben bilanciate, in quanto sono rispettose degli originali e, al tempo stesso, dotate di quel 'quid' che le rende fatte proprie dal gruppo. L'ambito di riferimento non è mutato, trattandosi di un
roots rock con ovvia preponderanza di elementi blues (vedi i pezzi di Steve Ray Vaughan, Cult, Black Crowes), con qualche incursione nella musica italiana (Lucio Battisti, o ancora le Orme di "Amico di ieri"). Due i pezzi di David Bowie: convincente è "Ziggy Stardust", un po' meno nelle corde della band l'eterea "Space Oddity". L'apice è raggiunto, a mio avviso, con un terzetto di tracce hard/metal che coinvolge assai tutti i presenti: "Let Me Put My Love Into You" degli AC/DC, "Strange Kind Of Woman" dei Deep Purple e "Breaking The Law" dei Judas Priest. Lo show volge al termine, e in occasione del pezzo dei Ramones "The KKK Took My Baby Away" i musicisti indossano delle parrucche, ad eccezione del bassista Enrico Giordani che sfoggia un curioso copricapo in qualche modo reminiscente la sua militanza prog nei Nuova Era. Nei bis c'è spazio per la prima cantante del gruppo, finché, dopo due ore di ottima musica e tanto sudore (anche per noi fra il pubblico), la serata si conclude: l'appagamento è stato generale. Grazie, Giotto Band!

Francesco Fabbri - giugno 2017

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