XXIII: Passo San Pellegrino - Fuchiade - Passo delle Cirelle -
Passo Ombrettola - Sasso Vernale - Passo Ombrettola - Cima Ombrettola -
Passo delle Cirelle - Fuchiade - Passo San Pellegrino
(a piedi)

Partito con un proposito di gita certamente più agevole, per una serie di concomitanze fortuite, o meglio fortunate, ho finito per scalare una vetta che da tempo agognavo, ma che non avevo mai osato salire neppure quando mi ci ero trovato ai suoi piedi (vedi il reportage del 2004 su Cima Ombrettola): alludo al Sasso Vernale, splendido "tremila" del gruppo della Marmolada. Le previsioni meteorologiche per quest'ultimo giorno di agosto erano confortanti, ma fin dall'inizio alle alte quote staziona una nebbia quantomai consistente. Arrivato alle 10 al Passo San Pellegrino, comincio subito a camminare lungo la ben nota e panoramica carrareccia che, con andamento quasi pianeggiante, porta verso la conca di Fuchiade. Le baite sono ben incastonate nel paesaggio naturale, e nei prati risalta il violetto chiaro dei colchici. Quando mi ritrovo a passare davanti alle varie sorgenti, noto che rispetto all'estate precedente esse sono in secca: in particolare un meccanismo con una piccola ruota tipo mulino, azionante un martelletto, è tristemente immobile, a riprova del bilancio idrico negativo di quest'anno.

Colchici e baite in prossimità di Fuchiade

Degli yak sui prati di Fuchiade

Appena giunto a Fuchiade, non perdo altro tempo e inizio a spron battuto la lunga salita che mi porterà al Passo delle Cirelle. Mi preoccupano un po', infatti, i perduranti nuvoloni sulle vette verso cui mi sto dirigendo, e temo anzi un ulteriore, possibile peggioramento. Poco sotto il passo, raggiungo e supero una comitiva di alpinisti padovani partiti, come saprò poi, una cinquantina di minuti prima di me. Insieme commentiamo con ironia il fatto che le previsioni del tempo abbiano clamorosamente toppato, dando una situazione in "netto miglioramento": proprio fidandosi di tale auspicio, loro quattro si erano mossi addirittura dalla loro città per fare questa gita. Saluto e proseguo, zigzagando sul ripido ghiaione conclusivo. Ogni tanto, a dire il vero, si apre uno squarcio di sereno che, purtroppo, si rivela effimero e illusorio, perché in pochi minuti la cappa biancastra riavvolge tutto quanto.

Risalendo la Valle delle Cirelle, guardo
preoccupato la fitta nebbia che si sta accumulando

Un effimero squarcio di
sereno sul Passo delle Cirelle

Arrivo al Passo delle Cirelle poco dopo mezzogiorno; manco a farlo apposta, la zona più nebbiosa è proprio quella sulla sinistra verso cui dovrei dirigermi, cioè le Cime Cadine: il mio progetto odierno prevederebbe infatti la salita della Cima Orientale, che è poi anche la più alta delle tre. Non si tratterebbe di un ascesa lunga o tecnicamente difficile: imboccata la dorsale rocciosa, sarebbe sufficiente seguirla fino al culmine. Il problema è che la visibilità, su quel crinale per me nuovo, appare ridottissima; in più, verosimilmente in vetta m'aspetterebbe un panorama nullo. Indeciso sul da farsi, valutando sia la precaria sicurezza, sia la... scarsa fotogenia del proseguimento, traccheggio un po', sperando che magari la "nuvola di Fantozzi" se ne vada altrove. Ma la cosa non succede. Quando i quattro veneti mi raggiungono sul passo, mi propongono di seguirli con loro sul Sasso Vernale. Dopo un attimo di indecisione, il fatto che tale vetta sia sgombra, e soprattutto la mia grande voglia di salirla, fa sì che io accetti con entusiasmo la proposta. I miei compagni non sono più giovanissimi, però hanno la tempra e la tranquillità tipica degli alpinisti esperti, e di questo mi rendo conto quasi subito. Dunque mi adeguo volentieri al loro passo cadenzato, così da conservare le forze per l'impegnativa ascensione del Sasso Vernale. Frattanto, alla mia destra, una famiglia di stambecchi vaga con piena padronanza sulle rocce della Punta Cigolè. La marcia di avvicinamento verso il Passo Ombrettola procede senza intoppi; ne approfitto per conoscere meglio i miei nuovi amici. Mi colpisce l'Anna, settantenne in gambissima, a motivo del suo originale accento, in parte familiare e in parte no. Scopro infatti che proviene da Montevarchi (AR), ma che da svariati decenni è appunto trapiantata in veneto. E' vedova di un noto alpinista e guida alpina del luogo, e insieme hanno viaggiato il mondo in lungo e in largo scalando le vette di tutti i continenti. Poi c'è Aristide, che pare avere qualche piccolo problema a causa dei postumi di una frattura al malleolo; leggermente più giovani sembrano i due coniugi Renato e Fiorenza. Tutti sono simpatici e molto alla mano, e mi trovo davvero bene con loro. La triangolare e imponente sagoma del Vernale si avvicina sempre di più man mano che saliamo; il mio stato d'animo resta di trepida eccitazione ma di sostanziale calma, sapendo di poter contare sull'aiuto di persone pratiche di montagna.

Il Sasso Vernale dal sentiero per il Passo Ombrettola

Ai 2868 metri del Passo Ombrettola, Aristide dà forfait rinunciando all'ascesa finale; a fargli compagnia rimane l'Anna. Siamo in tre, dunque, ad attaccare l'insidiosa cresta sud del Sasso Vernale, che nel frattempo non è purtroppo stata risparmiata dalla nebbia. Scorgere dal basso il nostro itinerario non è sempre così elementare; poi, come del resto già sapevo, la roccia è cattiva e molto friabile, e occorrono intuito, pazienza e capacità per non correre rischi. Si tratta di una vera e propria 'via normale' alpinistica, magari tecnicamente non impossibile, ma dove è necessario stare costantemente all'erta. Tale via ricalca un sentiero della Grande Guerra, come confermato dai chiodi che tuttora vi si incontrano, senza che peraltro vi sia più la fune metallica che li collega. Oltretutto il sentiero è ormai quasi del tutto franato e, specialmente in basso, laddove c'è il maggior accumulo di detriti, riconoscere i giusti passaggi non è affatto semplice. Spesso io, Renato e la Fiorenza dibattiamo dove siano le tracce migliori, e a volte l'unica cosa da fare è provare direttamente. Di norma, comunque, mi affido alle loro scelte lungo la cresta, che percorriamo con doverosa lentezza. Sono certo io quello meno dotato dal punto di vista tecnico, cosicché, come da prassi alpinistica, vengo posizionato in mezzo ai due, i quali, gentilissimi e altruisti, mi sorvegliano e mi aiutano, suggerendomi i giusti appigli nei punti impegnativi. Diversi appoggi per i piedi sono ricoperti di infido e instabile ghiaino: Renato mi mostra come ripulirli con gli scarponi. Sono felice di avere incontrato persone così competenti, e ho tutto da imparare in una giornata come quella odierna. Progredendo verso l'alto, i passaggi sono più puliti e di conseguenza l'itinerario appare maggiormente riconoscibile; a ciò fa tuttavia da contraltare la sempre maggiore esposizione sui verticali fianchi della parete est. Il gran nebbione impedisce di vedere fin giù in basso, ma è facilmente intuibile il grande salto di roccia che non lascerebbe scampo in caso di caduta. Sebbene non ripidissima, la cresta richiede comunque un costante impegno alpinistico, valutabile nell'orbita del primo grado: bisogna usare le mani per andare avanti e si tratta pur sempre di una vera arrampicata, anche se non trascendentale.

Arrampicata sul pendio
detritico del Sasso Vernale

Tracce di sentiero militare su
un'esposta cengetta della cresta

A un certo punto, nel biancore generale, ci accorgiamo che la cresta non sale più: siamo perciò ai 3058 metri del Sasso Vernale! La mia felicità è tanto grande quanto imprevista, date le mie differenti intenzioni della mattina. Dopo la Marmolada e il Piz Boè (salito due volte), questa è la terza vetta più alta del mio curriculum alpinistico, ed è la prima volta che, nella stessa estate, raggiungo due "tremila" (l'altro è stato Cima Ombretta). Il panorama dalla cima è ovviamente precario; si intuiscono bene, comunque, l'immensa bastionata della parete sud della Marmolada e la lunga successione di elevazioni del gruppo Cima Uomo - Costabella.

In vetta al Sasso Vernale! Sono felicissimo, anche se la vista non è proprio delle migliori

Dopo una meritata pausa con doverosi scatti fotografici, ritorniamo sui nostri passi. In discesa l'attenzione si fa giustamente esponenziale: ormai conosco le difficoltà della via, ma lo scendere implica di per sé maggiori pericoli. Sbagliare è tassativamente vietato, in quanto anche un banale scivolone non potrebbe essere recuperato in virtù della friabilità e della verticalità della parete est. Rimango concentrato e sereno al tempo stesso, sempre sotto la preziosissima supervisione di Renato e della Fiorenza. Non siamo legati, tuttavia il loro appoggio psicologico è per me essenziale. Chiacchierando con Renato, emerge un fattore legale che non conoscevo e che sinceramente mi lascia alquanto stupito. Io sostengo che gli sono riconoscente e devo ringraziarli per quanto mi hanno aiutato, e che se mi dovesse succedere qualcosa sarebbe solo ed esclusivamente responsabilità mia, proprio perché non siamo legati e dunque ognuno di noi risponde solo della sua stessa incolumità. Renato mi risponde che la questione non è così semplice, e che in casi similari del passato sono comunque emersi dei problemi, perché per la legge il solo invito ad andare insieme in montagna implica l'assunzione di responsabilità da parte del 'capogruppo'. In altre parole, nel mio caso non dovrebbero aspettarsi eventuali richieste di risarcimento da parte mia perché ovviamente non lo farei, tuttavia la legge, se ci sono incidenti gravi, promuove azioni civili d'ufficio, dunque anche senza denuncia. Osservo che tale norma mi pare sinceramente assurda: sono stato io a voler fare l'ascensione assumendomene tutti i rischi in piena coscienza; comunque, da qui in avanti userò una prudenza se possibile ancora maggiore, perché non m'andrebbe proprio di inguaiare i miei compagni. Sempre senza fretta arrampichiamo in discesa. Nei punti dove il sentiero è più percorribile capita talvolta che la distanza fra me e la Fiorenza che mi precede e Renato che mi segue aumenti di qualche metro. I due allora scompaiono e ricompaiono in mezzo alla nebbia, quasi come lugubri fantasmi o evanescenti ectoplasmi. Eccoci a una caverna militare della Grande Guerra straordinariamente ben sagomata, che buca la montagna da parte a parte: l'avevo già notata all'inizio della salita, pertanto ora so che ormai il Passo Ombrettola è vicino.

La caverna della Grande Guerra
poco sopra il Passo Ombrettola

Discesa lungo la cresta sud del Sasso Vernale

E alle tre e mezzo ritroviamo Aristide e l'Anna che ci hanno pazientemente atteso. Io, come del resto Renato e la Fiorenza, non abbiamo ancora messo nulla nello stomaco, ma sinceramente fin qui non avevo sentito la fame, forse perché immerso nella... "trance agonistica". Adesso è però il caso di reintegrare un po' di calorie, e facciamo un'altra pausa. Tutti e cinque, poi, per il rientro a Fuchiade decidiamo di variare l'itinerario, salendo alla Cima Ombrettola e scendendo, sul versante opposto, alla Forcella del Bachet. La prima parte ci riesce senza problemi e in pochi minuti siamo in vetta. Qua, però, la nebbia si potrebbe affettare col coltello: siamo avvolti dal biancore più totale e la visibilità è ridotta ad appena un paio di metri. Io non conosco la Forcella del Bachet ma i miei compagni sì: mi dicono che ci sono delle tracce di sentiero su terreno roccioso, ma neppure loro, adesso, riescono a capire dove si debba andare. Renato va da solo in avanscoperta per un po', ma poi anche lui è costretto a rinunciare. Dobbiamo arrenderci all'evidenza: con altre condizioni meteorologiche la cosa sarebbe senz'altro fattibile, ma adesso si rischierebbe di incrodarci chissà dove. Si propende allora per proseguire lungo il crinale dell'Ombrettola e quindi calarsi nella conca che precede il Passo delle Cirelle. So già che la discesa per quella parete rocciosa per me non sarà proprio elementare, ma la vicinanza degli altri mi dona tranquillità. Al momento topico, emergono i miei limiti tecnici: la roccia non è ripidissima, però gli appigli sono abbastanza scarsi; in più si deve scendere obliquando nel contempo verso sinistra. Come mi confermerà l'Anna, questo è un II grado inferiore. Ovvero il limite... superiore delle mie capacità. Renato e la Fiorenza mi invitano a stare con la faccia alla roccia e a usare la punta dei piedi per gli appoggi, e non la pianta. Hanno ragione e io ci provo, ma non mi viene naturale e i miei movimenti denunciano un certo imbarazzo. Mi dicono anche di fare passi piccoli e di non aver paura a sporgere in fuori il sedere, perché questo garantisce in realtà un maggiore equilibrio. Con grande cautela, pian piano riesco a discendere questo pendio privo di tracce, e con me tutti gli altri.

L'indistinto biancore
sulla Cima Ombrettola

L'impegnativa discesa su roccia
dalla cresta della Cima Ombrettola

Per il Passo delle Cirelle è adesso solo una formalità, e possiamo concentrarci su altri aspetti, a cominciare da un maestoso stambecco che, senza paura, staziona nella conca sottostante. La Fiorenza dimostra poi di avere autentici occhi di lince, trovando spesso per terra dei proiettili Shrapnel: si tratta di piombini di forma rozzamente sferica, in uso nella Prima Guerra Mondiale. La discesa lungo il ghiaione delle Cirelle rappresenta in assoluto il momento più divertente della giornata: di corsa, o a grandi balzi, oppure derapando come sugli sci, in un batter d'occhio ho 'bruciato' tutta la distesa sassosa! Mentre aspetto gli altri, che comunque procedono di buona lena, mi fermo e mi tolgo gli scarponi per svuotarli dall'abbondante ghiaia finita all'interno. Il resto dell'itinerario, che coincide con quello dell'andata, non ci crea problemi ma lo facciamo con quella calma che, a questo punto, è logica figlia anche della stanchezza: non si deve dimenticare che nelle gambe abbiamo già più di 1100 metri di dislivello, cui bisogna aggiungere l'ascesa a Cima Ombrettola. Anche Renato, come Aristide, ha qualche malanno fisico, e i dolori al calcagno e al ginocchio che aveva fin dall'inizio sono andati aumentando. Rimango tuttavia volentieri coi miei nuovi amici, perché neppure io ho troppa voglia di correre, come conseguenza della prova fisica e dell'appagamento psicologico. Dopo una breve sosta a Fuchiade, continuiamo il rientro. In barba alle previsioni meteorologiche comincia addirittura a piovere, ma ormai siamo vicini al Passo San Pellegrino, dove giungiamo piuttosto tardi, alle 19,15. Saluto e ringrazio calorosamente, da questa pagina, i miei estemporanei amici padovani: senza di loro, il Sasso Vernale sarebbe rimasto solo un pio desiderio. A tutti gli altri che mi stanno leggendo, confermo che quest'ascensione è tassativamente riservata agli escursionisti allenati (lunga è infatti la marcia di avvicinamento), con esperienza alpinistica anche su terreno infido ed esenti da vertigini.

[Dolomiti 2005]