VIII: Panchià - Valle del Rio Bianco - Buse de le Pizzancae -
Pizzancae - Casera Vecchia - Valle del Rio Bianco - Panchià
(a piedi)

Fatta eccezione per il Latemar, i rilievi sulla destra orografica dell'alta Val di Fiemme assumono l'aspetto di morbide e verdi dorsali. A ciò non corrisponde tuttavia un impegno fisico trascurabile per l'escursionista, dal momento che i dislivelli col fondovalle superano di norma i 1000 metri; se a ciò si aggiunge la scarsità di rifugi e più in generale di punti d'appoggio, ben si comprende come queste zone risultino poco o nulla frequentate. Avendo già esplorato il territorio del Cornon (nel 2001) e della Pelenzana (nel 2003), per completare l'opera mi mancava ancora il crinale delle Pizzancae, compreso fra i primi due. Comincio dunque la mia gita da Panchià e, tanto per non smentire quella che nell'estate 2004 è stata ahimè una consuetudine, all'inizio faccio molta fatica a individuare il giusto percorso. La Valle del Rio Bianco, subito sopra il paese, è piuttosto stretta e dunque, almeno in apparenza, non dovrebbero esserci troppe incertezze nel rinvenire il sentiero. Dalle cartine in mio possesso, questo dovrebbe trovarsi sulla destra del fiume (per me che salgo), ma, di fatto, dopo poche centinaia di metri le tracce si perdono nel nulla. Siccome quest'oggi non ho molta voglia di iniziar male la gita, torno sui miei passi. I cartelli ai bivi sono assolutamente inutili, indicando sentieri locali verso Ziano o Tesero, mentre del mio benedetto 510 non v'è alcun indizio. Chiedo aiuto ai pochi paesani nei paraggi, ma a dire il vero ne ricavo indicazioni un po' confuse. Guardo l'orologio: sto traccheggiando ormai da un'ora e sono già le dieci del mattino. Alla fine decido di fare di testa mia, risalendo il rivo laddove mi sembra possibile. Torno nel punto in cui il sentiero sulla mia destra terminava e mi guardo un po' in giro. Sulla sponda opposta mi pare di scorgere una traccia percorribile, ma per esaminarla da vicino devo affrontare un guado non proprio elementare. Individuato il punto più agevole, riesco a effettuare la manovra senza... bagni non preventivati. Ebbene, il viottolo non è marcato con alcun segnavia, però costeggia la riva con regolarità: senza indugi lo imbocco, sperando di non aver sorprese sgradite nel prosieguo. Fortunatamente le cose vanno bene, e la progressione nell'angusta ma seducente valle non subisce ostacoli. Il vivace rumore del Rio Bianco mi tiene compagnia, ed è una gioia per gli occhi seguire le tumultuose acrobazie dell'acqua sopra i sassi, che si risolvono in quell'abbondante schiuma bianca che verosimilmente ha dato il nome al ruscello. Ricongiuntomi con il sentiero principale, proveniente da Tesero, attendo ora di trovare la deviazione verso le Buse de le Pizzancae. Una spettacolare cascata, alta un centinaio di metri, precipita da un intaglio fra le rocce a breve distanza da me.

Belle sfumature di colore su
grossi chicchi di grandine non sciolti

L'alta cascata lungo la
Valle del Rio Bianco

L'umidità del luogo è confermata dal fatto che, poco dopo, si deve passare su dei pietroni fradici e dunque molto scivolosi: opportunamente tali passaggi sono attrezzati con passerelle in legno e funi metalliche. Ma ecco il bivio: prendo a destra il 522 che subito si inerpica ripidissimo, incassato fra pareti verticali e una vegetazione così folta che la luce del sole riesce a stento a trasparire. Sono evidenti le analogie con la vicina Val Averta, sopra Ziano, e a confermare la logica di tale parallelismo c'è il rinvenimento, anche qui, delle antiche scritture rupestri dei pastori, che con l'ocra rossa tracciavano svolazzanti date o facevano artistici disegni. L'anno più vecchio che riesco a trovare è il 1775 (!), mentre è molto bello un autoritratto, accompagnato da una capra di montagna, a firma di "Silvio Gilmozzi - Agnelaro di Pachià - 1934 3 giugno", con la malinconica aggiunta "Adio pasegi...", a significare appunto la durezza della vita dell'epoca, che davvero concedeva poco spazio a quel tempo libero che per noi, oggigiorno, è quasi sacro. E a proposito dei raffronti con la contemporaneità, mi sia concesso di esprimere tutto il mio disgusto nei confronti dei moderni "writers", che pretenderebbero di esprimere chissà quali valori sociali attraverso le loro zozzonerie. Al contrario, coloro che imbrattano i muri delle nostre città e le carrozze ferroviarie non sono certo degli artisti (scritte e disegni sono infatti tutti desolantemente uguali!), e neppure dei portavoci di una qualche pseudo-sotto-cultura da strapazzo, perché ciò che ruota attorno a "hip-hop" et similia, a parte quei larghi e orribili pantalonacci puliscistrade, è solo un abissale nulla. Chi ne è seguace è per me solo un volgare sporcaccione, privo di qualunque rispetto per le cose altrui.

Le antiche, artistiche  pitture e scritture rupestri lungo la Valle del Rio Bianco

Chiudo questo polemico pistolotto e torno alla mia gita. Anche se oggi il tempo è buono, durante la notte ci sono state delle violente precipitazioni; questo particolare, unito alla temperatura che come di consueto è bassa, fa sì che in più punti io rinvenga grossi chicchi di ghiaccio, probabilmente grandine non ancora sciolta. Adagiati sul muschio del bosco, questi pezzi di acqua solidificata assumono cangianti, meravigliose sfumature di colore. Il suolo è molto bagnato, però i piedi restano completamente asciutti: ho infatti inaugurato i miei nuovi scarponi in pelle firmati Jellici, un artigiano moenese che nel suo campo è un vero maestro, e la tenuta stagna è perfetta. Per un attimo l'erta concede una tregua in prossimità delle Buse de le Pizzancae, dove lo sguardo può finalmente spaziare sulla Val di Fiemme. Ci sono ancora da scavalcare alcune conche, ma dopo un po' mi ritrovo al Baito Pizzancae: carta alla mano, capisco che la sommità del crinale è ormai vicina, e infatti in cinque minuti arrivo a destinazione. La fatica è stata notevole, dato che il culmine delle Pizzancae si trova a quota 2162, per un dislivello complessivo di quasi 1200 metri da Panchià! Certi numeri incutono timore al turista-tipo, dunque è pleonastico aggiungere che fin qui non ho incontrato assolutamente nessuno, malgrado si sia nella settimana di Ferragosto, e anche in vetta assaporo il piacere della solitudine.

Rododendri e pini mughi
sulle Pizzancae

Solitudine e tranquillità
in vetta alle Pizzancae

La flora, intorno a me, è di un'abbondanza e di uno splendore incredibile: fra rododendri, genziane e anche molte stelle alpine è un vero tripudio di rosso, blu e bianco. Una ricchezza naturale che mi limito a fotografare, perché si tratta di specie protette e perché deve comunque esser chiaro a tutti che i fiori, in montagna, stanno bene dove sono e non vanno mai colti. E' già l'una del pomeriggio e mi merito una doverosa pausa... rifocillatoria. Tira una certa aria e devo coprirmi. Il cielo è sereno e la visibilità piuttosto buona: dietro al crinale della Pelenzana e del Monte Agnello biancheggia il Latemar; sul versante opposto della valle, i Lagorai mi si offrono per intero con le loro scure, piramidali cime; sullo sfondo, giganteggiano le incantevoli Pale di San Martino.

Splendide stelle alpine
sulle Pizzancae

Il crinale delle Pizzancae
verso il Latemar

Dopo mangiato, continuo lungo il crinale e quasi subito incontro il bivio che, a sinistra, mi porterebbe verso la Casera Vecchia. Ma la bella giornata mi invita a proseguire l'esplorazione delle Pizzancae; mi tengo dunque in quota e percorro la dorsale fino in fondo o giù di lì, fermandomi solo quando arrivo a breve distanza dalla Malga Valbona. Ed è a questo punto che incontro l'unico altro escursionista della giornata, un signore romagnolo non giovanissimo che ha iniziato la sua gita da Pampeago. Torno indietro e recupero la precedente deviazione. Con una ripida discesa giungo alla Casera Vecchia, un bell'alpeggio di fatto abbandonato: qui ritrovo l'allegro chiacchiericcio del Rio Bianco, la cui suggestiva valle discendo nella sua interezza fino al mio punto di partenza di Panchià.

[Dolomiti 2004]