Non c'è niente da fare. Con questo sono già tre i concerti di Peter Hammill a cui ho potuto assistere, dopo quello del Teatro Puccini - sempre a Firenze - nel '92 e l'altro, veramente indimenticabile, in alta quota sotto le Torri del Vajolet nel '96, ma in ogni circostanza l'emozione pare ricrearsi automaticamente, tanto che finisco col rimanere a bocca aperta di fronte alla stupefacente verve dimostrata da questo incredibile Artista.
Faccio il mio ingresso nell'Universale quando un po' di gente è già entrata: per me è la prima volta da quando la sala è stata rinnovata, e subito mi rendo conto che la dislocazione dei posti in platea non è proprio ottimale, a causa di un grande banco per la distribuzione delle bevande collocato nel bel mezzo: a parte quelle poche decine di fortunati che hanno trovato posto davanti ad esso, gli altri dovranno vedersi l'esibizione di sbieco. Per fortuna, tuttavia, sullo schermo alle spalle di Hammill scorreranno in simultanea le immagini dello show, inoltre l'acustica più che buona permetterà una piena godibilità dello spettacolo anche a chi sarà costretto ad assistervi in posizione defilata. Intorno alle 21,45 il sempreverde Peter sale sul palco e si siede al pianoforte a coda: i capelli sono ormai tutti bianchi, a dire il vero, ma il fisico è asciuttissimo come di consueto, e in special modo è immutato il suo entusiastico approccio verso il 'lavoro' che ha scelto (o forse è quel 'lavoro' ad aver scelto lui?...). Il pubblico se ne accorge e fin dall'inizio gli tributa le ovazioni che merita. E così le vandergraaffiane "My Room", "The Siren Song" ed altre testimonianze vecchie e nuove si snodano lungo un percorso quantomai logico. Dopo questa prima
tranche Peter passa alla chitarra acustica elettrificata continuando ad alternare pezzi noti e meno noti; ovviamente trovano spazio anche alcuni estratti dall'ultimo CD, "Clutch", che si inserisce in quel filone acustico della sua discografia la cui gemma è "And Close As This" ('86). I giudizi su "Clutch" sono stati invero piuttosto controversi: ad esempio Musica! di Repubblica ne ha parlato abbastanza male. Personalmente ritengo che almeno un terzo delle nove tracce che lo compongono sia di alto livello; nel resto affiora forse un po' di mestiere... Però che grande mestiere, signori! E comunque, all'atto pratico della verifica live, i pezzi di "Clutch" si integrano in perfetta armonia nel corpus della produzione hammilliana, ed in particolare con gli otto minuti di "Bareknuckle Trade" siamo all'eccellenza assoluta. Fra chitarra e pianoforte Hammill continua a raccontare se stesso con grande intensità, supportato da quel dono senza uguali che madre natura gli ha elargito, ovvero la sua magica voce, ancora oggi tecnicamente inappuntabile: maestosa e graffiante, eppure capace di accarezzare con tenue levità. Molto belle le onnipresenti "Patient", "Still Life" e "Vision", fino a chiudere, dopo ben due ore filate, con una "Again" senza strumenti e senza microfono. L'impressione è che l'uomo-Hammill vada evolvendosi lungo una rotta sempre più intimistica, come confermato dalla rinuncia a qualsiasi orpello o effetto speciale, anche sonoro; il suo pubblico, in religioso silenzio (ma non fra un pezzo e l'altro!) e oltremodo affezionato, certo asseconderà in eterno questo autentico Poeta del secondo e terzo millennio.
Alla fine del concerto riesco ad avvicinare Peter per un veloce saluto e uno scambio di battute. Gli chiedo se prima o poi farà altri concerti sulle Dolomiti: "Per me quella è stata un'esperienza veramente straordinaria - mi dice - ma per poterla ripetere ho bisogno di essere invitato". Dunque mi rivolgo agli assessori competenti del Trentino: datevi da fare! Un doveroso plauso a Maurizio Storai e a tutto il PH-VDGG Study Group per aver reso possibile la serata dell'Universale.

Francesco Fabbri - maggio 2003

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