V: Passo Lavazé - Pala di Santa - Passo Pampeago - Passo Lavazé
(a piedi)

Il laghetto del Passo Lavazé

Altra escursione condizionata dalle incerte condizioni meteorologiche, la salita della Pala di Santa mi ha comunque regalato lunghi istanti di ovattato silenzio, di rigenerante tranquillità. Il lungo ma agevole crinale della montagna si può affrontare indifferentemente dal Passo di Pampeago o da quello di Lavazé, ed è da quest'ultimo che decido di partire. Il cielo, sereno al primo mattino, si sta oscurando con grande rapidità: con passo sostenuto affronto allora i quasi 700 metri di dislivello che conducono alla vetta della Pala di Santa. Uscito dal bosco e raggiunta la dorsale, mi trovo immerso nella nebbia più fitta. L'orientamento non è però problematico, cosicché proseguo a spron battuto fino a raggiungere la grossa croce posta in cima. Guardo l'orologio: ho impiegato in tutto appena un'ora e un quarto. Mi siedo per riposarmi dalla veloce "cavalcata", mi avvolgo in un pesante maglione e firmo il libro di vetta, aggiungendo come di consueto l'URL di questo sito. L'atmosfera è irreale, le pietre e gli oggetti paiono perdere i propri connotati per librarsi nel vuoto. "Se Dario Argento fosse qui, girerebbe una scena di un suo film!", penso fra me e me. Dalla parte opposta del crinale, in lontananza, si delineano gli incerti contorni di alcuni esseri: non si tratta di fantasmi, ma di tre ragazze del posto. Preso il libro di vetta, notano la mia indicazione web e se la appuntano. Guardando la data e andando per esclusione (oltre a me sono presenti solo un paio di tedeschi), una mi chiede: "Sei tu Francesco Fabbri?". "Sì!". "Anche tu appassionato di fotografia?", e tira fuori un set da sogno, con un teleobiettivo modello... bazooka ammazzagiraffe. Un po' annichilito, le mostro la mia gloriosa Contessa della Zeiss, con cui ho scattato tutte le foto presenti su questo sito: una macchina con un'ottica di prim'ordine, ma limitata dal punto di vista tecnico. Ciò è comunque sufficiente per fare una chiacchierata con le tre simpatiche donzelle, che ben presto, però, a causa del freddo riprendono il cammino dirigendosi al Lavazé. Resto da solo in cima, perché nel frattempo anche i tedeschi se ne sono andati. Mi stringo nel maglione e finisco di mangiare i miei panini. La nebbia pian piano si dirada, lasciando intravedere la Val di Fiemme, il Corno Nero, il Corno Bianco, il Santuario della Madonna di Pietralba e l'Alto Adige (detto in lingua locale "el todésch"). Anche il gruppo del Latemar, prima nascosto, fa ora capolino. Ma è tempo di proseguire e di scendere al Passo Pampeago, che raggiungo in un'oretta. Il sereno riesce a farsi largo, dunque il rientro in quota attraverso la Selva di Ega non mi crea nessun problema. E al Passo Lavazé un timido sole dona suggestive sfumature al caratteristico laghetto.

[Dolomiti 2002]