Il monicker Minstrel non mi era ovviamente sconosciuto, essendo il gruppo attivo già dal 1991, ma confesso che finora non avevo mai avuto l'occasione di ascoltare alcunché del combo bergamasco. E alla verifica pratica devo ammettere che mi ero perso qualcosa di importante, poiché la valenza musicale - e più in generale artistica - di questo "Faust" è assolutamente degna di nota.
Il progetto, vera opera teatrale che rilegge Goethe ma cita anche Shakespeare, appare infatti come il frutto di un lungo lavoro svolto da musicisti tecnicamente preparati e affiatati. Nell'arioso concept, dunque, nulla è lasciato al caso, ed è un grande piacere lasciarsi incantare  dalle molteplici invenzioni che si susseguono. Benché più correttamente identificabile come un unico corpus, il disco reca dei titoli che in qualche modo segnano alcune peculiari svolte emozionali. Dopo un "Preludio" recitato (accostabile a Pholas Dactylus e Gruppo d'Alternativa), si entra nel vivo con le azzeccate interazioni fra chitarra acustica, organo e clarinetto di "Bellatrix": subito notevole il cantato del tastierista Mauro Ghilardini, cui è affidato il ruolo del protagonista, mentre la sapiente chitarra di Michele Savoldelli irrompe nella seconda parte. La lunga "Mefistofele" inizia con intelligenti dissonanze pianistiche, poi gli ottimi dialoghi fra tastiere e chitarra rivelano quel gran senso della melodia che, in assoluto, costituisce forse la migliore prerogativa dei Minstrel. Epico e stentoreo il confronto fra Faust e Mefistofele, quest'ultimo assai bene interpretato dal rapace Davide Ferrari, ovvero il Faust...o Leali della situazione. Un veloce e classicheggiante riff di chitarra elettrica contraddistingue "Il Castello", insieme a pregevoli evoluzioni sinfoniche, mentre nei quasi dieci minuti della title-track viene raggiunto il climax in chiave enfatico-drammatica, visti i molteplici interventi dei vari personaggi. Si allenta opportunamente la tensione con la più eterea "La Neve", dove ancora una volta spiccano le maiuscole capacità armoniche del gruppo: i dialoghi vocali sono incastonati alla perfezione nel tessuto strumentale. Il bel "Finale", narrato, chiude il cerchio di un concept a lieto fine, ma in cui il languore malinconico permane dietro l'angolo, come in tutte le cose della vita.
Ideale è il bilanciamento tra le rilassate frazioni acustiche e le aggressive porzioni elettriche; inoltre, pur non rinnegando la gloriosa tradizione prog italica degli anni '70, e anzi appartenendovi orgogliosamente per quanto concerne il succitato aspetto melodico, "Faust" sfugge a troppo precise canonizzazioni di genere e derivazioni da gruppi particolari, e questo è certo un bene. Dunque nessuna critica da muovere, né suggerimenti per il futuro: solo un plauso sincero e del tutto meritato. E ora attendiamo con ansia la rielaborazione di Moby Dick, che la band sta ultimando.
Contatti:
www.minstrel.it.

Francesco Fabbri - agosto 2004

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