"La maschera di cera può essere una persona, una cosa, un evento, che stravolge la vita e le sicurezze e mette di fronte a qualcosa di nuovo che da una parte attrae e dall'altra spaventa ma che inevitabilmente e con dolore si dovrà affrontare per rinascere, dopo essere passati nell'inferno dell'anima e dei dubbi, con nuove consapevolezze e andare avanti rinnovati". Questo è il concept che sta alla base di un lavoro importantissimo, che merita la massima attenzione di tutti noi. Già da tempo se ne parlava, ma la verifica pratica non ha certo tradito le aspettative: La Maschera Di Cera, ennesimo progetto dell'incontenibile Fabio Zuffanti, è un masterpiece clamoroso, assolutamente da non mancare! I motivi del profondo fascino sprigionato dal disco sono molteplici: la devozione assoluta verso i gruppi italiani di culto degli anni '70, Museo Rosenbach e Balletto di Bronzo in primis; l'adozione di un parco strumenti adeguato, capace di ricreare quel calore timbrico vintage che tanto ci ammalia; una line-up di grande valore, comprendente, oltre allo stesso Zuffanti al basso, il tastierista Agostino Macor (Finisterre, co-compositore), il batterista Marco Cavani (Finisterre), il cantante Alessandro Corvaglia (già sentito nella rock opera "Merlin") e il flautista Andrea Monetti (Arjuna, Ku, e ultimamente Embryo!).
I venti minuti della suite eponima sono un autentico delirio sonoro. Non c'è un solo attimo di noia grazie al mirabile intersecarsi dei vari strumenti che compongono un potente affresco sinfonico, basato su quella alternanza tematica tipicamente seventies. E il gioco paga, perché è evitato con intelligente maestria il rischio della frammentarietà: al contrario, le successioni umorali appaiono come logiche parti di un 'tutto unico'. Veramente incredibile è il suono di basso filtrato che Zuffanti è riuscito ad ottenere: più di una volta si ha la sensazione che a suonare sia una chitarra più dark di quella di Tony Iommi! Del pari essenziale è il ruolo delle tastiere di Macor, con un emotivo mellotron a far da trampolino per gli assoli di organo e moog, e molto 'ballettiano' è l'uso del pianoforte. Il flauto di Monetti cuce e ricama, assumendo spesso movenze spettrali (vedi Antonius Rex), mentre la voce di Corvaglia sa interpretare in modo eccezionale la melodica partitura affidatagli, denunciando parecchie similitudini col grande "Lupo" Galifi, cantante del Museo Rosenbach. Il concept prevede poi "Del Mio Mondo Che Crolla" ('museiana' già nel titolo, come i due pezzi seguenti): il lugubre mellotron, il micidiale e bombardante basso, l'oscuro flauto inchiodano senza scampo. Ancora il fantasma di "YS" del Balletto riemerge in "Del Mio Abisso E Del Vuoto", con i cori straziati dell'ospite Nadia Girardi che ci fanno precipitare in una sconvolgente dimensione incubica, da cui ci si risolleva con "Del Mio Volo", dove un Hammond trionfale edifica l'epica apoteosi che pone il degno suggello.
Ascoltando e riscoltando questo lavoro è facile comprendere quanto sia oziosa la disputa intorno a cosa si dovrebbe intendere per "progressive" oggi: La Maschera Di Cera è esplicitamente un progetto
in stile, ma lo straordinario valore di scrittura e di esecuzione, accompagnato da una sopraffina tessitura melodica (la matrice Finisterre riesce a farsi largo, qua e là), ne fanno opera addirittura nuova. Per me Disco del Terzo Millennio, poi fate voi...

Francesco Fabbri - marzo 2002

Il rischio era grande. La posta in gioco altrettanta. Dare un seguito adeguato all'incredibile debutto, e a così breve distanza da esso, racchiudeva in sé due pericoli in qualche modo logici e preventivabili, anche se di segno opposto. Da un lato la tentazione di non modificare di una virgola la formula vincente, cadendo dunque nella ripetitività; dall'altro il possibile anelito a misurarsi su coordinate del tutto nuove, snaturando però l'essenza di un progetto che, quasi per magia, ha avuto in sé il dono di veder posizionati a regola d'arte tutti i tasselli. Evitando tali possibili derive, i timonieri Zuffanti e Macor hanno scelto opportunamente il centro del campo di regata, assecondati dallo stesso equipaggio di base - squadra che vince non si tocca - a cui si sono aggiunti alcuni importanti innesti quali la chitarra di Nick Le Rose, socio di Andrea Monetti, e soprattutto l'oboe di Antonella Trovato, determinante in un paio di occasioni. Zuffanti avverte che "Il grande labirinto non è un concept come il precedente album ma c'è un sottile filo conduttore che lega le canzoni: quello della ricerca per liberarsi dalle proprie costrizioni interne o esterne e cercare la propria strada e la propria libertà in autonomia e senza condizionamenti di sorta". A ben vedere, la tematica sa molto di "Zarathustra" del Museo Rosenbach, che non a caso anche qui costituisce un imprescindibile punto di riferimento. Per il resto, ritroviamo il lirismo dark del Balletto di Bronzo che, in più di un passaggio, si fa quantomai hard e oscuro, formando un preziosissimo cocktail sonoro da assaporare attimo per attimo.
Un nuovo gioiello si ha subito con i 14' de "Il viaggio nell'oceano capovolto - parte 1", in cui i giochi armonici e ritmici si incastrano alla perfezione, fra le bordate del basso distorto di Zuffanti e le sapienti invenzioni di Macor al pianoforte e al mellotron: alcune lugubri tessiture mi hanno ricordato anche l'indimenticabile soundtrack de "L'aldilà" di Fabio Frizzi. La rapace voce di Alessandro Corvaglia mostra al meglio le sue doti nell'incredibile melodia de "La consunzione", momento ripreso come traccia autonoma alla fine del CD. La title-track prevede un riff di basso molto dark, cui tengono dietro il mellotron e il flauto di Monetti nella medesima direzione: l'assetto arrangiativo è sopraffino come sempre, e risultano aggressive ed originali certe dissonanze; significativo il finale paranoico/rarefatto. Decisamente
weird la breve "Il canto dell'inverno": a metà fra Keith Emerson e Arturo Stalteri i giochi pianistici di Macor, che poi dona impressionistiche sensazioni col mellotron, cui segue il malinconico oboe. Ottime idee per il futuro. "Ai confini del mondo" si snoda invece a cavallo fra Trip e Osanna, ed è condotta con mano molto sicura l'alternanza fra le parti tranquille e gli squarci carichi di energia; semplicemente da pelle d'oca l'epica chiusura. Quanto agli oltre 22' de "Il viaggio nell'oceano capovolto - parte 2", ci troviamo probabilmente di fronte alla più grande composizione della Maschera di Cera. Il preludio voce-chitarra-mellotron-flauto deflagra in un coinvolgentissimo crescendo ritmico, mentre è addirittura indescrivibile la melodia del cantato: poche storie e fuori i fazzoletti, ci si può solo commuovere al cospetto di tanta bellezza! I bei ghirigori del moog, i guadi semi-acustici, i 'tarantolamenti' collettivi sono tutti fattori che concorrono in egual proporzione alla sublime statura della suite, che si chiude degnamente con un tema reiterato dall'oboe, via via doppiato dai singoli strumenti in un ripieno entusiasmante.
L'impressione è dunque di aver ascoltato un nuovo, inarrivabile capolavoro. Supera o no il suo predecessore? Confronto arduo e forse anche un po' antipatico; preferisco cavarmi d'impaccio dicendovi che, se l'altro era perfetto, questo gli sta solo... alla pari.

Francesco Fabbri - febbraio 2003

Registrato a Verviers (Belgio) nel luglio 2003, "In concerto" rappresenta un altro snodo cruciale nel corso evolutivo della Maschera di Cera. L'ipotetico - molto ipotetico - avvocato del diavolo che avesse inteso avanzare una qualche riserva circa le reali possibilità di Zuffanti & soci di estrinsecare live le loro particolarissime composizioni, con questo CD è messo definitivamente a tacere. Gli oltre 78 minuti del disco (un tempo sarebbe stato un doppio LP!) racchiudono un corale inno alla tecnica combinata all'emotività, e il tutto si risolve in un autentico tripudio di suoni vintage quantomai ammalianti. Niente artifici, dunque, né trucchi di sorta: solo un grande entusiasmo rock, sorretto però da un'adeguata preparazione; forse, anzi, la performance dal vivo costituisce il più naturale sbocco per un progetto concepito fin dall'inizio con certe caratteristiche. La band, la stessa dei due studio-CD con la sola eccezione di Maurizio Di Tollo alla batteria al posto di Marco Cavani, si lancia inizialmente a eseguire vari estratti de "Il grande labirinto", e subito si mettono in luce Andrea Monetti col suo viscerale flauto, quasi spiritato, e il frontman Alessandro Corvaglia, un vero professionista della voce che, oltre a mantenere sempre la corretta intonazione, dimostra grande mestiere nell'introdurre i pezzi. Maiuscola "Ai confini del mondo", con un Agostino Macor perfettamente a suo agio sia nel destreggiarsi con l'Hammond che nel ricamare col pianoforte, e notevole l'enfasi drammatica de "Il viaggio nell'oceano capovolto - parte 1", suite che contiene "La consunzione", per me il più bel pezzo finora composto dal gruppo. Segue la riproposizione integrale del primo, omonimo CD: nella title-track si segnalano le belle divagazioni pianistiche jazzate, mentre in "Del mio mondo che crolla" e in "Del mio abisso e del vuoto" si confermano quei preziosi passaggi tonali che sono, ormai, un trademark compositivo abbondantemente riconosciuto a Fabio Zuffanti. La qualità del suono è in genere discreta, anche se, nelle circostanze di maggior 'affastellamento' strumentale, l'equilibrio del missaggio non appare irreprensibile e la dinamica ne soffre un po', ma ciò non infastidisce proprio perché si comprende di essere al cospetto di un vero evento di reality rock. Dirò di più: a quei pochi che (vergogna!) fin qui non hanno ascoltato nulla della Maschera di Cera, consiglio proprio di partire da questo live, nella certezza che andranno poi a recuperarsi i primi due album, e non potranno successivamente esimersi dall'acquistare il nuovo CD che la band sta attualmente preparando.

Francesco Fabbri - aprile 2005

"LuxAde", atto terzo in studio della Maschera di Cera, è un altro gran bel disco. I consueti ingredienti per farselo piacere ci sono tutti: la calda e poderosa voce di Alessandro Corvaglia, mai così bravo come in questa occasione; l'autentico arsenale di tastiere 'antiche' di Agostino Macor; i passionali flauti e sax di Andrea Monetti; l'incredibile basso distorto di Fabio Zuffanti, vera peculiarità del progetto; la robusta e precisa batteria del nuovo acquisto Maurizio Di Tollo. La band è sempre capace di far vivere forti emozioni, però... al confronto coi CD che l'hanno preceduto, in "LuxAde" emerge talora qualche (veniale) limite.
Il lavoro parte invero nel migliore dei modi: lo struggente tema pianistico tratteggiato in "Porta del cielo" ci introduce nel pernicioso dark di "Doppia immagine", uno dei vertici assoluti in virtù della rimarchevole varietà di atmosfere, sempre ben condotte e ben intersecate. Al rimbombante basso, accompagnato dal flauto, segue una magistrale performance di Corvaglia sul registro acuto; veramente da brividi la maestosa apertura guidata dal mellotron, straniante l'assolo di sax. I dieci minuti di "Un senso all'impossibile" sono nel complesso più tenui, e situati in quell'ambito romantico-canterburiano che costituisce parte del DNA di Macor e Zuffanti; poderosa è tuttavia la conduzione tastieristica dopo il cambio ritmico (vedi Uriah Heep). Laddove pensavi a un'incisività leggermente minore, ecco che il bel finale epico rimette le cose a posto. "Orpheus" merita un discorso a parte, dato che su tale traccia è stato creato un video, scaricabile dal sito ufficiale. Forse per la prima volta la MdC ricerca, se non un
hit single, almeno un pezzo più accessibile: lo fa a modo suo, senza alcun vero compromesso, shakerando l'aggressività del Biglietto per l'Inferno col gusto melodico della Locanda delle Fate. Ne vien fuori un qualcosa di intelligentemente anthemico ma non monocorde, che a me non è affatto dispiaciuto. Viceversa, alcune piccole crepe si notano nell'altro pezzo di dieci minuti, ovvero "Nuova luce": bene la liquida intro di synth e il sognante connubio fra cantato e mellotron; più incerta la classicheggiante vivacizzazione sinfonica, a cavallo fra Keith Emerson e Semiramis. Pur piacevoli e tecnicamente all'altezza, non sempre questi giochi tastieristici sono originali e pregnanti: si ascoltano più che volentieri, ma il tutto rimane un po' sub-standard dal punto di vista del songwriting. Molte luci e qualche ombra anche nella suite "Enciclica 1168". Di alto livello la rabbiosa decadenza, cui seguono attimi di ieratica compostezza: ancora una volta affiora il Biglietto per l'Inferno (penso non sia casuale la citazione "Silenzio, son frate" presente nel testo...), ed è ottima l'interpretazione di Corvaglia. A grandi squarci, di profondo sentimento - da ascoltare l'assolo di Hammond - si accompagnano però passaggi che sanno di già sentito. E' forse la prima volta che la MdC cita se stessa, e probabilmente per questo la parte centrale della suite non appare irresistibile; negli ultimi sei minuti, però, certi incubi 'ballettiani' si rianimano, e il valore cresce notevolmente: bella la martellante sequenza ritmica, con un cinereo mellotron in sottofondo. Il sintetico strumentale "Schema (v.s.d.)" funge infine da giusto compendio di alcune delle migliori idee tematiche del disco, e a menar le danze ci sono il flauto di Monetti, vagamente mediorientale, il basso distorto, il moog e l'Hammond.
Chi, neofita della MdC, si ritrovasse per la prima volta a mettere nel lettore questo "LuxAde", rimarrebbe senz'altro a bocca aperta dalla meraviglia; tuttavia è anche vero che chi già conosce il resto della discografia seguiterà verosimilmente a preferire il debutto omonimo e "Il grande labirinto". Spero non me ne vorranno Zuffanti & soci, che comunque - tengo a sottolinearlo - per me continuano a farsi un sol boccone di tutta l'attuale concorrenza nel settore.
Contatti:
www.mascheradicera.com.

Francesco Fabbri - maggio 2006

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