|
Fin da quando, nel 1994, i Finisterre esordirono col CD omonimo, a critica e pubblico fu subito chiaro che non ci si trovava di fronte all'ennesimo gruppo di new prog dai suoni iperpompati e dalle poche idee. L'entità in oggetto si segnalava infatti per una rimarchevole misura timbrica, ma soprattutto per un songwriting di statura assolutamente superiore: prese le mosse da certo rock romantico/canterburiano alla Camel o Caravan, la band andava oltre con una maturità soprendente per dei debuttanti. Giunse poi "In Limine" ('96) a proseguire e, se possibile, migliorare il discorso iniziale, quindi il live "Ai margini della terra fertile" ('97), fino al discusso - almeno da alcuni - "In Ogni Luogo" ('98), un po' più accessibile degli altri, ma sempre pregno di grande classe.
Questa release racchiude un cospicuo numero di pezzi sia editi sia
inediti, a firma Finisterre o viceversa attribuibili a uno dei tanti
progetti collaterali. Fin qui sconosciute erano le prime due tracce,
risalenti al '93 e testimonianza paradigmatica di quella prima
fase evolutiva: vi si respira un prog venato di psichedelia in cui
non di rado un'aggressiva chitarra gioca un ruolo preponderante.
Un certo schematismo è riscontrabile, ovvio, ma specialmente "The
Fall" sa intrigare, grazie ai suoi accenti darkeggianti. Seguono
alcune covers inserite nelle varie compilations-tributo succedutesi
negli anni: fra esse svetta la vandergraffiana "Refugees",
risolta in chiave classico-cameristica e dunque anticipatrice, per
certi versi, di quello stile di cui i Quintorigo sono ora la bandiera.
Non potevano poi mancare le due tracce che costituivano il primo
demo dei Finisterre e che sono poi state riprese nel primo CD del
gruppo. In "Asia" il romanticismo di fondo svela costruzioni
ardite che poi lasciano il posto a passaggi intelligentemente aggressivi;
"Cantoantico", invece, per chi scrive è uno strepitoso
capolavoro già in questa primigenia versione, con la sua sinfonicità
à la Camel, le parti cantate quasi liturgiche, le armonie stranianti,
il bellissimo flauto struggente. Un'alternanza di umori a dir
poco sopraffina! Il primo CD si chiude con alcune curiose composizioni
di Boris Valle, una delle 'menti' dei Finisterre. La relax
music che ne esce
è di gran livello, e le delicate trame di flauto, chitarra e sax
possiedono un indubbio potere ipnotico. L'altro disco propone
innanzitutto i Finisterre dal vivo. I tre pezzi (le cui versioni
in studio sono nel debut-CD) mostrano chiaramente come tale dimensione
si confaccia al gruppo, e colpisce nel segno la multiformità di
intenti di "SYN" e le brucianti accelerazioni che vi si
rinvengono; sorprendente anche "Isis" e il suo avantgarde
accostabile ai Pierrot Lunaire. Le quattro, lunghe tracce conclusive
sono dedicate a due progetti del bassista Fabio Zuffanti, la cui
dirompente carica creativa non poteva in alcun modo dirsi esaurita
coi Finisterre. E così con Höstsonaten (tre ottimi CD all'attivo,
fra cui il recente "Springsong")
ha proseguito e, per certi versi, estremizzato la ricerca nella
direzione classica e elegiaca. Si ascolti la versione live in studio
di "Morning" (tratta dalla suite del primo CD) e se ne
apprezzi la varietà tematica e l'ariosità compositiva, con un
mellotron che richiama alla mente i mitici francesi Sandrose. A
dimostrazione che nel DNA di Zuffanti sta scritta la capacità di
spaziare lungo tutto l'arco
costituzionale di
certa musica 'colta', c'è infine il progetto Quadraphonic,
totalmente diverso dal resto: in "Tecnicolor2100" regna
l'elettronica minimale dei primi Kraftwerk, con relativa esplorazione
effettistica. Anche qui l'applauso viene spontaneo.
Tornando ai Finisterre, le ultime newsletter danno l'attività della band "sospesa a tempo indeterminato": la speranza di tutti è che vi sia un ripensamento, e che presto si possa tornare a riascoltare un nuovo, 'vero' disco dei Finisterre, gruppo il cui merito maggiore risiede forse nell'essere riuscito a non farsi catalogare come old prog o new prog, compendiando in sé le complesse architetture del primo e la freschezza del secondo: musica fuori dal tempo, dunque. E ciò è prerogativa dei grandi.
Francesco Fabbri - febbraio 2002
|
|