XI: Malga Crocefisso - Bivacco Zeni - Cima Dodici - Sass Aut - Punta Vallaccia -
La Costella - Rifugio Vallaccia - Rifugio Monzoni - Malga Crocefisso
(a piedi)

La via ferrata "Franco Gadotti", che attraversa per intero il gruppo della Vallaccia, ha rappresentato senza dubbio un altro dei miei 'acuti' dell'estate 2004. Escursione classica, lunga e faticosa, mi attirava soprattutto perché mi avrebbe permesso di raggiungere la vetta del Sass Aut, l'ultima cima rilevante che ancora mi mancava in questa catena. Benché i due giorni precedenti siano stati per me tutt'altro che di riposo, con l'Alta Via dei Monzoni "Bruno Federspiel" e il recupero, l'indomani, della macchina al Passo San Pellegrino con la mountain bike (750 metri di dislivello da Moena, tanto per non perdere l'allenamento...), decido subito di ripartire per questa gita impegnativa, constatata la stabilità delle condizioni meteorologiche e soprattutto la validità della mia forma psicofisica. Intorno alle otto del mattino lascio la macchina alla Malga Crocefisso, lungo la Val San Nicolò, e imbocco lì vicino la scorciatoia del sentiero 615 che, con andamento ripido, mi permette di risalire i boschi ai piedi della Vallaccia. L'esposizione a nord e l'orario fanno sì che la luce sia scarsa, e conseguentemente la temperatura è piuttosto rigida. Ben sapendo che mi aspetta un lungo cammino, tiro avanti con passo svelto. Laddove la Vallaccia tende ad aprirsi un po', mi accorgo di aver raggiunto quattro alpinisti partiti prima di me. Si tratta di due signori romagnoli accompagnati da una coppia di coniugi il cui accento mi è, al solito, familiare: provengono infatti dall'hinterland fiorentino! Insieme affrontiamo le placche bagnate, con funi metalliche di sicurezza, che portano poi in breve al Bivacco Donato Zeni. La piccola costruzione in lamiera è l'ultimo punto d'appoggio prima della traversata, lungo la quale non troveremo né acqua, né rifugi. Provvedo a indossare il casco e a cingermi col cordino; i miei occasionali compagni hanno invece delle vere imbragature. La disinvoltura con cui le manovrano mi fanno capire che, benché un po' più attempati di me, i quattro devono essere ben dotati dal punto di vista tecnico. Rivolgo qualche domanda e ho la conferma di tale impressione: nel loro curriculum figurano cose molto impegnative che io non mi sono mai azzardato a fare, fra cui la difficilissima ferrata "Cesare Piazzetta" al Piz Boè, forse la più ardua in assoluto delle Dolomiti! Ho tutto da imparare da gente così, e per questo chiedo se darà loro fastidio il fatto che io mi aggreghi. Gentilissimi, mi dicono che non ci sono problemi; anzi, la signora mi fa una cortesia che mi lascia sbalordito. Accortasi della mia vescica ancora aperta sull'indice della mano destra (me l'ero procurata quattro giorni prima sulla via attrezzata del Polse), mi porge un paio di guanti da ferrata, aggiungendo: "Puoi tenerli". Imbarazzato, ringrazio ma aggiungo che glieli restituirò al termine della gita, però lei insiste: "Guarda, io ho questi altri che mi sono più comodi; se a te quelli vanno bene, siamo contenti tutti!". E' davvero una gran cosa questa spontanea solidarietà fra alpinisti; non aggiungo altro e accetto il graditissimo dono, manifestando la mia contentezza. Comincia la ferrata vera e propria, e ben presto mi ritrovo presso quello che i libri indicano come il 'passaggio-chiave': l'attraversamento, in quota, di cinque metri di una parete verticale ed esposta. Ma è più il pensiero che la difficoltà in sé, perché l'opportuna presenza di due staffe per i piedi rende piuttosto agevole lo spostamento laterale. La risalita del fianco del monte alterna poi normali tratti su sentiero ad altri in cui si deve arrampicare su roccette, cenge e camini, sempre con l'ausilio di funi metalliche e, eventualmente, staffe. Dopo lo scavalcamento di una conca interna, perveniamo all'insellatura prativa che divide il Sass Aut da Cima Dodici. Avevo già raggiunto quest'ultima vetta due anni fa, ma, vedendo i miei compagni deviare a destra verso di essa, volentieri li seguo per ammirare nuovamente il bel panorama che da lì si può godere. E in effetti Cima Dodici, ancorché più bassa di altre vette del gruppo della Vallaccia, ne costituisce l'estremità nord e permette quindi un colpo d'occhio stupendo sulla Val di Fassa. A conti fatti, dal Bivacco Zeni abbiamo impiegato circa un'oretta. Facendo un raffronto con la mia precedente salita della medesima montagna avvenuta nel 2002 dall'altro versante, quello di San Giovanni di Fassa, mi permetto di consigliare agli escursionisti dotati di un minimo di tecnica di optare per la ferrata "Gadotti": non ci sono rischi di sbagliare sentiero, il dislivello è minore, il tracciato è più breve e meno faticoso, e le difficoltà sono di poco superiori. Infatti io mi sento ancora fresco e riposato, complice la bassa temperatura che non mi ha fatto sudare troppo: potrei anche ripartire subito, ma gli altri preferiscono consumare adesso il pasto principale. Per me è un po' presto; c'è ancora parecchio da scarpinare, e giudico meglio non intasarmi lo stomaco. Comunque approfitto della sosta per firmare il libro di vetta, scattare foto e divertirmi a riconoscere ogni singola vetta dei vicini gruppi del Catinaccio e del Sassolungo. Poi ripartiamo.

Sul 'passaggio-chiave'
della ferrata di Cima Dodici

Il Sass Aut da Cima Dodici

Tornati all'insellatura già nominata, tiriamo dritto verso il Sass Aut. Il percorso si fa leggermente più impegnativo, rimontando dirupi attrezzati e un lungo canalone che, alla fine, sbuca nel vasto pianoro erboso che contraddistingue la cima del Sass Aut. Il punto più alto è però su un cocuzzolo un po' lontano dal sentiero, e la mia pignoleria verso me stesso fa sì che, per potermi sentire intimamente soddisfatto di aver raggiunto la 'vera' vetta, io debba deviare per qualche minuto in tale direzione.

Sulla ferrata del Sass Aut

In vetta al Sass Aut

I miei nuovi amici preferiscono invece riposarsi brevemente sulla distesa prativa sottostante; ben presto mi ricongiungo a loro e ci accingiamo ad affrontare il tratto tecnicamente più difficile di tutta la giornata, reso impegnativo anche dal fatto che va percorso in discesa: una ripidissima gola rocciosa che, man mano che si procede, va ulteriormente stringendosi fino a condurre nelle viscere della montagna, in una caverna buia e fredda dal minaccioso nome di "Antro del Diavolo"... Entrarci dentro è davvero emozionante: sembra che qualcuno abbia spento la luce e... acceso l'aria condizionata! Sarà per l'oscurità, sarà per l'improvviso sbalzo di temperatura, fatto sta che sulle braccia sento correre un po' di pelle d'oca... L'uscita dall'antro non è per me semplicissima: complice, forse, il momentaneo intorpidimento delle membra, devo studiare per bene i passi da fare nel superare un masso e reimmettermi nella gola. Oltretutto alcune staffe sono parecchio piegate e quindi malsicure, se non addirittura inutilizzabili. Comunque la mia incertezza non dura molto e in breve sono definitivamente fuori dalla caverna. Qui, come altrove, indugio a scattare delle foto e perdo contatto coi miei compagni. Più in basso il canalone si allarga; eccezion fatta per un chiodo completamente divelto dalla parete, con la fune metallica che oscilla libera per un tratto troppo lungo, le difficoltà sembrano diminuire. Ed è qui che ne combino un paio delle mie: dato che i cavi in certi punti si interrompono, in due occasioni non individuo i giusti passaggi per ritrovare gli infissi successivi e finisco per arrampicare in libera... In una circostanza, in particolare, mi ritrovo su un piccolo pianoro al di sotto del quale non scorgo appigli per scendere. Un'ulteriore, esile piattaforma sta circa un metro e mezzo sotto i miei piedi. Non ho alternative: devo saltare, facendo attenzione ad arrivare in equilibrio sul ridotto basamento! Per mia fortuna la pericolosa manovra riesce senza intoppi, e in poco altro tempo giungo in fondo alla gola, dove terminano gli infissi metallici.

L'imbocco del canalone
verso l'Antro del Diavolo

L'Antro del Diavolo

Adesso la visuale miracolosamente si apre su una bella conca prativo-rocciosa, che è necessario risalire. In questo tratto, di puro fiato, raggiungo di nuovo i miei compagni di gita, che cominciano un po' ad accusare la fatica. C'è ora da aggirare il Sass da Stengia; sotto di noi, un folto gruppo di camosci corre in libertà. Perveniamo alla Forcella delle Baranchie, da dove si può direttamente dirigersi verso la Val Monzoni oppure guadagnare la maggiore vetta della giornata, quella della Punta Vallaccia. I quattro amici scelgono di non salire ancora, dunque le nostre strade si dividono qui. Saluto, poi mi accingo a rimontare la dorsale che, in breve, mi permette di raggiungere quota 2640, la più alta del gruppo. La giornata è abbastanza serena anche se l'orizzonte è poco nitido, come m'è capitato diverse altre volte in questo 2004. Un'occhiata all'orologio: ho iniziato la gita ben cinque ore fa e sin qui non ho mangiato nulla, pur non accusando mai una particolare stanchezza! Sono soddisfatto di me stesso e del mio ottimo allenamento di quest'anno, la costanza del quale mi ha permesso di perdere parecchi chili. Da almeno una dozzina d'anni, infatti, non arrivavo più a quei 65 Kg che ho potuto invece rilevare al culmine della stagione estiva. Ma ora, sulla Punta Vallaccia, anche lo stomaco inizia giustamente a reclamare, e dato che da qui in avanti ci sarà solo discesa, provvedo ad accontentarlo in abbondanza e senza fretta. La cima è battuta dal vento, ma il (seppur pallido) sole e l'orario permettono a una mite temperatura di farsi largo. In vetta stanno arrivando parecchie persone, tutte provenienti dal facile itinerario della Val Monzoni che io seguirò per la discesa. Alcuni escursionisti mi sono graditi; non posso dire altrettanto, però, a proposito dei soliti giovinastri chiassosi che rispettano ben poco il luogo. Costoro, tuttavia, si trattengono per breve tempo: dato che alcune ragazze delicatucce dimostrano di non gradire le correnti d'aria, la comitiva, con mia grande gioia, leva le tende e se ne va. Io indugio piacevolmente, e dalla mia posizione 'strategica' ho sott'occhio l'intero Catinaccio coi Dirupi di Larsec, il Latemar, il Sella, il Sassolungo, i neri e vicini Monzoni e Bocche... Meraviglioso!

La conca prativo-rocciosa
prima della Punta Vallaccia

Dalla Punta Vallaccia, stupendo panorama
sul Catinaccio e i Dirupi di Larsec

Ma dopo un paio d'ore di estasi è il momento di ripartire, dirigendomi verso il valico della Costella e, da lì, lungo la verde e stupenda Val Monzoni, che si apre in una bella conca in prossimità del Rifugio Vallaccia. La lunga discesa, trascurando il bivio a destra per il Rifugio Taramelli, mi porta poi alla Baita Monzoni e quindi al punto di partenza, ovvero la Malga Crocefisso. L'intera traversata mi ha dunque tenuto impegnato per circa otto ore, per un dislivello complessivo di 1440 metri: credo che queste cifre bastino da sole a commentare lo sforzo richiesto, però sono proprio tali numeri che contribuiranno a non farmi dimenticare mai questa favolosa cavalcata.

[Dolomiti 2004]