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XIX: Pampeago - Mandriccio del Canalin - Cornacci - Baito Armentagiola - Dos dai Branchi - La Bassa - Pampeago (a piedi)
Daniele e la Serena sono appena ripartiti, cosicché affronto questa nuova escursione da solo, come di prammatica. Fra i rilievi sulla destra orografica della Val di Fiemme, il Dos dai Branchi era l'ultima vetta di una certa importanza che ancora non avevo mai raggiunto. Più alto rispetto al vicino Cornon o alle parallele dorsali delle Pizzancae e della Pelenzana, tale monte si può abbordare da diverse parti. Da Tesero il dislivello sarebbe cospicuo, sfiorando addirittura i 1300 metri; considerando le incerte previsioni del tempo per quest'oggi, io preferisco seguire il bel giro panoramico in quota consigliato dalla guida Kompass. Parto così dai 1757 metri di Pampeago alle nove e un quarto, seguendo il sentiero n° 62 che corre nel bosco, inizialmente pianeggiante. Il pallido sereno del mattino ben presto svanisce, e fra le alte conifere la luce filtra con difficoltà. Avvisto un camoscio, che però si nasconde in gran fretta. A un certo punto il sentiero perde decisamente quota, e dopo circa tre quarti d'ora dalla partenza sono all'incrocio col n° 523 proveniente da Stava. Giro a sinistra imboccando quest'ultimo, che in forte salita rimonta la Val de Slavin: fin qui sono stato più o meno nei tempi medi ufficiali, ma adesso, dove il pendio diventa ripido, riesco a fare la differenza con quanto riportato sui cartelli indicatori. E in ogni caso capisco che devo affrettarmi, perché le già precarie condizioni atmosferiche sono rapidamente peggiorate. Laddove il bosco termina, ecco che mi ritrovo in cima al Mandriccio del Canalin, da cui si gode un'ottima vista sulla sottostante Val di Fiemme, oltre che verso i più alti Cornon e Dos dai Branchi, che mi stanno aspettando. Particolarmente impressionanti le scoscese pareti nord del Cornon, lungo le quali noto altri due camosci che si allontanano in una folle corsa seguendo traiettorie impossibili.
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Il Cornon dal Mandriccio del Canalin
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Il Dos dai Branchi dal Mandriccio del Canalin
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Riprendo l'ascesa a gran ritmo, e in meno di mezz'ora sono alla Sella dell'Armentagiola, che divide il Dos dai Branchi dai Cornacci, ossia la vetta del Cornon, da me peraltro già raggiunta nel 2001. Ed è verso quest'ultima che mi dirigo, seguendo il sentierino che passa fra i caratteristici, bassi pini mughi. Ai 2189 metri dell'alta croce dei Cornacci incontro una solitaria ragazza, l'unica persona che vedrò in tutta la giornata. Dal cielo, ancora più minaccioso, cominciano a cadere le prime gocce: non è proprio il caso di rimanere in cima a far da parafulmine, per cui ritorno rapidamente sui miei passi.
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I bei pini mughi del Cornon
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Quando sono all'alta croce dei Cornacci, sta già piovendo
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Alla Sella
dell'Armentagiola la pioggia s'infittisce; il Dos dai Branchi è
lì davanti a me, ma affrontare adesso la salita per la vetta sarebbe
da sconsiderati... Che fare? Poco più in basso, dalla parte opposta
rispetto alla Val de Slavin, scorgo la chiara sagoma di un tetto.
La costruzione dista solo alcuni minuti, per cui non ho più dubbi:
devo assolutamente ficcarmi dentro quel ricovero, attendendo che
Giove Pluvio sfoghi i suoi capricci. Il mio ombrellino tascabile
è già fradicio quando giungo allo chalet. Si tratta del Baito Armentagiola,
un accogliente rifugio-bivacco del Comune di Tesero, fornito di
tutti i generi di conforto: ci sono panche, tavolo, letti a castello
con coperte, viveri, stufa con relativa legna. Mi sento al sicuro
e posso finalmente riprendere fiato dopo la lunga 'tirata': sono
solo le 11,30 e ho già salito due vette, ma ancora mi manca quella
a cui tengo di più. Fuori, intanto, si scatena una vera tempesta:
tira un forte vento e piove a catinelle; la sequenza di fulmini
e tuoni è pressoché ininterrotta. Dalle finestre della baita scompaiono
tutte le montagne all'orizzonte e a dominare è solo un indistinto
bianco grigiastro, squarciato dalle elettriche ramificazioni dei
lampi. Mi tolgo la maglietta, fradicia più per il sudore che per
la pioggia, e indosso indumenti asciutti. E' ormai ora di mangiare,
e stavolta posso fare le cose con calma sedendomi a un tavolo, comfort
di cui ben raramente dispongo durante le mie gite. Quello che speravo
essere un temporale più o meno passeggero si rivela invece una vera
e propria perturbazione, tesa e insistente. Il tempo passa e non
c'è traccia di alcun miglioramento. Cerco di ingannare l'attesa
sfogliando il libro dei visitatori, ma la cosa non riesce a interessarmi
molto: a costo di apparire snobistico, trovo francamente disarmante
la ripetitività delle frasi scritte da chi mi ha preceduto, cosicché
dopo un po' prevale la noia. Tale sensazione lascia poi spazio al
disgusto più totale quando mi imbatto nei disegni e negli slogan
di un gruppuscolo di tifosi pallonari della capitale. Sinceramente
non ricordo se inneggiavano alla Roma o alla Lazio: tanto non fa
differenza, visti gli orientamenti paranazistoidi dei supporters
di entrambe quelle squadre. Io non seguo molto il calcio perché
non lo trovo tanto divertente, men che meno quando è inquinato da
gentaglia di tale risma. Disegnare e scrivere cose politicamente
così ambigue su un libro dentro una baita di montagna è una cosa
che stride in maniera terribile. E costoro non hanno nemmeno avuto
il buon gusto di lasciare isolato il loro atto: continuando a sfogliare
il libro, noto che uno o due anni dopo hanno avuto la pessima idea
di tornare sul 'luogo del delitto' per imbrattare altre pagine con
porcherie analoghe. E' proprio vero che, come si dice a Firenze,
"per i bischeri non c'è Paradiso"... Intanto passano le ore. Prima
una, poi due, poi tre, ma fuori nulla cambia. Infuria sempre il
diluvio universale, e dalla finestra vedo che il terreno non riesce
più ad assorbire la gran quantità di acqua che continua a cadere:
ci sono pozzanghere e fango dappertutto.
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Il provvidenziale Baito Armentagiola
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Lunghe ore di attesa aspettando che spiova
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Quanto a me,
la lunga immobilità mi sta pian piano raffreddando. I vestiti di
cui dispongo non mi sembrano più sufficienti a fronteggiare l'inusuale
situazione, ma mi tranquillizza il vedere le coperte accanto a me
e la legna vicino alla stufa, anche se vorrei evitare il trambusto
di accendere un fuoco. I polpastrelli delle dita stanno diventando
insensibili, e allora cerco di riscaldarli facendo - ebbene sì -
un giochino col cellulare. Ormai è pomeriggio e la pioggia ancora
non smette; il Dos dai Branchi è sempre là, così vicino eppure così
lontano... Fatalmente comincio a fare alcuni calcoli: ho ancora
diverse ore di luce a disposizione, ma se voglio raggiungere la
vetta devo partire entro un'ora, un'ora e mezzo al massimo. Non
di più, perché poi devo anche ritornare a Pampeago. Se disgraziatamente
non dovesse spiovere entro tale termine, mi si presenterebbero due
possibilità: o rientrare a Pampeago evitando la cima del Dos dai
Branchi, o, in caso di precipitazioni troppo intense, pernottare
qui. Mentre sto valutando tale alternativa, ecco che sul libro dei
visitatori trovo un paio di storielle che mi schifano alquanto.
Nella prima un gruppo di buontemponi non ha trovato di meglio che
raggiungere questa baita per ubriacarsi e vomitare sulle coperte;
nella seconda una tizia ha pensato bene di portarsi quassù il suo
gatto e di fargli fare i suoi bisogni. Per terra?... Ci mancherebbe
altro: ovviamente sulle coperte! "Poi, però, gli ho fatto tò-tò
per rimproverarlo", asserisce la smerdatrice di coperte della collettività,
non ho ben capito se con ironia o con demenza. A entrambi tali messaggi
seguono una ridda di proteste dei successivi visitatori che, giustamente
incazzati, si lamentano del puzzo dentro la baita, e del fatto che
hanno dovuto portar fuori le coperte lasciandole all'aria per giornate
intere. Non so perché, ma a questo punto non m'attira più tanto
rimanere a dormire qui... Spero con ardore che smetta di piovere,
e che ciò avvenga in fretta. Alle quattro mi rendo conto di aver
purtroppo quasi esaurito il margine, ma ecco che nel giro di un
quarto d'ora succede il miracolo: il cielo si schiarisce e la pioggia
cessa praticamente del tutto! Non sto a perdere un solo minuto e,
dopo aver richiuso le imposte, esco dal Baito Armentagiola dopo
quasi cinque ore di sosta forzata. Finalmente posso lanciarmi verso
il Dos dai Branchi. Dalla Sella dell'Armentagiola un facile crinale
mi porta prima su un'anticima, poi sulla vetta vera e propria, quotata
2274 metri. La mia pazienza e la mia tenacia sono state ricompensate,
e sono felicissimo! Intanto il tempo s'è più che stabilizzato, e
addirittura emerge il sole. Assisto ora a uno spettacolo superlativo:
sotto di me, verso la Val di Fiemme e il Monte Cucal, ci sono tante
nuvole pastose, simili a panna montata o zucchero filato, continuamente
mutevoli nel controluce del sole ormai declinante. Davvero incredibili
gli effetti visivi sulla bianca distesa sottostante! Rimango immobile,
assolutamente rapito a contemplare una simile meraviglia. Poi mi
'risveglio', e do un'occhiata alle varie montagne che riesco a distinguere:
le più vicine sono le Pizzancae, la Pala di Santa, il Latemar, il
Corno Nero e il Corno Bianco; dall'altra parte della valle emergono
- ed è la prima volta quest'oggi - i Lagorai e le Pale di San Martino.
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Dalla vetta del Dos dai Branchi, l' incredibile spettacolo delle nuvole sotto di me
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I Lagorai fanno finalmente capolino tra le nubi che vanno diradandosi
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Le ore, che prima mi sembravano eterne, adesso corrono via veloci: è già tardi e devo ripartire. Assecondo in discesa il crinale del Dos dai Branchi, e mi ritrovo all'insellatura denominata La Bassa. E' questo un punto d'incontro di svariati sentieri, ma per me che devo rientrare a Pampeago non ci sono dubbi: mi basta proseguire dritto, seguendo il segnavia 514 che progressivamente si allarga a carrareccia.
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Verso Pampeago, nel rosso del sole che ormai sta tramontando. Sullo sfondo il Latemar
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L'ennesimo camoscio mi passa davanti; stavolta il campo è aperto e posso tentare di immortalarlo: abbranco in fretta la fotocamera, la accendo, ma è già troppo tardi, l'animale è così veloce che in un attimo s'è messo fuori tiro... fotografico. Non succedono altri fatti significativi, e alle 19 concludo a Pampeago quest'escursione che si è rivelata più avventurosa del previsto.
[Dolomiti 2005]
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