III: Tabià -  Malga delle Caore - Baito alla Strenta -
Forcella del Capitello - Cimon di Val Moena e ritorno
(in mountain bike e a piedi)

La Malga delle Caore

La cascata all'imbocco della Val Moena

Pace e solitudine in vetta al Cimon di Val Moena

L'idilliaca Val Moena

Dopo due escursioni senz'altro appaganti dal punto di vista panoramico, ma su percorsi decisamente troppo battuti per i miei gusti, trovo pace e tranquillità universali in questo lungo itinerario nei miei beneamati Lagorai. Come ho già detto altrove, tale catena della Val di Fiemme è contraddistinta dalla pressoché assoluta mancanza di rifugi e punti di appoggio; in più molte strade forestali che ne solcano le valli sono interdette al traffico privato, cosicché gli accessi sono quasi sempre assai lunghi. Queste prerogative bastano (e avanzano) per scoraggiare il "gitante-tipo", colui per il quale il bello della montagna si limita a funivie, brevi passeggiate in quota e 'strippate' nei rifugi a base di polenta e luganeghe... La Val Moena (nulla a che vedere con l'omonimo paese della Val di Fassa, col quale condivide solo l'etimo "moja = mota, fango"), all'imbocco poco sotto Cavalese, è caratterizzata da una ripida e suggestiva cascata. La carrareccia che si inoltra nella valle è percorribile con l'automezzo privato solo fino alla località Tabià (1089 metri); dopodiché, se si vuole avvicinarsi alle montagne, bisogna affrontare in altro modo i molti chilometri che separano dai sentieri che poi portano alle vette. In più i dislivelli sono sempre considerevoli: il Cimon di Val Moena, la più importante elevazione del lato ovest, raggiunge quota 2488. In considerazione, dunque, dei ben 1400 metri di salita (e di discesa) che mi aspettano, decido di fare una gita veramente 'mista'. Di primissimo mattino raggiungo in macchina il Tabià; subito tiro fuori dal bagagliaio la mountain bike. Il mio abbigliamento è un po' ibrido, dato che ai pantaloncini da ciclista abbino giocoforza gli scarponi, che per fortuna non si rivelano poi così scomodi per pedalare. La salita è effettivamente lunga ma regolare, tanto che non vi sono tratti in cui devo scendere e spingere. Nondimeno vado su con calma, in considerazione della grande fatica complessiva che mi attende. Fa caldo, certo, ma non quanto i giorni precedenti; in più l'itinerario è ombreggiato dal bosco. Dopo due ore e tre quarti sono ai 1706 metri della Malga delle Caore: metà del dislivello è fatto. Lego a uno steccato la bici (precauzione inutile, visto quello che riferirò poi), mi cambio di pantaloni indossando quelli lunghi e proseguo a piedi. Ben presto arrivo al Baito alla Strenta, da cui si diparte il sentiero che porta alla Forcella del Capitello. Fra pini mughi e rododendri la salita ora si fa ripida; non è da molto che sto camminando, ma comincio già ad avvertire la fatica della precedente pedalata. Giungo ai 2318 metri della forcella già abbastanza provato. Intorno a me non c'è nessuno, solo silenzio e l'impagabile fascino di una natura selvaggia. Manca ancora l'ultimo tratto che porta alla vetta, quello più impegnativo: il sentiero c'è e non c'è, come spesso capita sui Lagorai, e bisogna arrangiarsi facendo affidamento sui pochi 'ometti' di pietra che ogni tanto si scorgono, ma soprattutto sulla propria esperienza di montagna. In alcuni passaggi devo arrampicare, in altri decido di perdere leggermente quota per evitare inutili rischi; ad ogni modo, dopo un'anticima e una traversata un po' esposta, alla fine raggiungo la sommità del Cimon di Val Moena. Guardo l'orologio: dal Tabià sono trascorse quattro ore e mezzo! La stanchezza che provo è notevole, ma la soddisfazione per aver portato a termine l'"impresa" vale senz'altro di più. Il tempo è molto stabile, dunque mi trattengo in vetta ad ammirare gli stupendi dintorni dei Lagorai, non ancora manomessi dall'intervento umano. Mangio il contenuto del mio zaino, poi mi riposo all'ombra di un piccolo tabernacolo. C'è anche il libro di vetta, che provvedo a firmare, notando nel contempo che è molto vecchio: qua arrivano davvero pochi alpinisti; guardando le date, noto che l'ultima persona che ha raggiunto la cima risale a quindici giorni fa... e siamo in alta stagione! Senza fretta riprendo il percorso dell'andata e, giunto di nuovo nella Val Moena, ho tutto il tempo di ammirarne l'indescrivibile bellezza: il luogo è ampio, pieno di sole, solcato da un placido ruscello e ricco di vegetazione. Per un attimo mi riempio di vera Felicità, e mi vien fatto di pensare che, se l'aldilà esiste, vorrei rimanere per sempre in un posto così. Nel rivo noto un morbido cuscino di verdissimo muschio: scendo e lo sfioro, lo accarezzo, ne percepisco il profumo. Con la mano mi oppongo allo scorrere dell'acqua, provando una pungente ma piacevole sensazione di freddo. Qui tutto è perfetto e vorrei trattenermi ancora, ma è tempo di scendere. Alla Malga delle Caore ritrovo regolarmente la mia mountain bike, e capisco che l'accorgimento della catena e del lucchetto, col senno di poi, è stato pleonastico, dato che in tutta la giornata non ho incontrato anima viva. A memoria, non mi era mai capitato in precedenza: una, due o tre persone, a volte, ma proprio nessuna mai! Mi rimetto i pantaloncini da ciclista e senza quei rischi che potrebbero essere figli della poca energia affronto la discesa fino al Tabià, chiudendo in bellezza una gita che rimarrà impressa per sempre fra i miei ricordi più piacevoli.

[Dolomiti 2003]