|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
X: Alba di Canazei - Rifugio Contrin - Passo Ombretta - Cima Ombretta e ritorno (a piedi)
Davvero una
grande giornata, sia dal lato sportivo che atmosferico, quella
che mi ha visto raggiungere la sommità di Cima Ombretta, un vero
"tremila" a ridosso della Marmolada! L'ambiente severo e le cospicue
altitudini impongono che per questa lunga e impegnativa escursione
- ben 1500 metri di dislivello - si sia ben sicuri della stabilità
meteorologica: già da diversi giorni, come detto nel precedente
reportage, il cielo era assolutamente terso, per cui mi sono deciso
ad affrontare questa vetta che ancora mancava al mio palmarès.
La necessità di avere molte ore di luce a disposizione mi ha indotto
a partire presto, e infatti alle 7,45 ho già imboccato il sentiero
che, da Alba di Canazei, mi porterà al Rifugio Contrin. Le prime
rampe della carrareccia sono piuttosto ripide, e le supero senza
indugio ma con passo cadenzato. Poco sopra la Baita Locia Contrin,
oltre uno steccato, il percorso si fa più pianeggiante, arioso
e assai panoramico. Sono completamente solo nel cuore di una Natura
magnifica: la percepisco come un gigantesco organismo vivente,
che si sta adesso stiracchiando le membra ancora intorpidite dal
sonno notturno. Davanti a me, in lontananza, scorgo già evidentissima
la poderosa sagoma della Cima Ombretta, che su questo lato precipita
in vertiginose pareti. Tale visione, stupenda e orrida al tempo
stesso, mi incute un misto di ammirazione e di sottile inquietudine
per quello che dovrò affrontare, anche se sono ben consapevole
che il mio versante di salita è tutt'altro. In prossimità della
Malga Cianci la salita si fa di nuovo sentire, ma solo per poco,
perché il noto Rifugio Contrin, a quota 2016, è ormai vicino.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La Cima Ombretta dal Rifugio Contrin
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
L'imbocco della Val Rosalia. Sullo sfondo la Marmolada
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Da lì la Cima
Ombretta si può abbordare in due modi: deviando a destra (sud-est)
per il n° 607, quindi affrontando una via ferrata breve però impegnativa,
secondo le guide in mio possesso; oppure prendendo a sinistra (nord-ovest)
il 606 e poi il 610 per il Passo Ombretta, e da qui la "via normale"
fino in vetta. La mia filosofia di escursionista interessato più
ai panorami che non alle difficoltà tecniche mi fa propendere per
questa seconda possibilità, e così risalgo con calma l'incantevole
e solitaria Val Rosalia, pastellata di fantastiche tonalità di colore.
Avvisto tantissime marmotte: a un certo punto c'è addirittura un
intero, tranquillo gruppo familiare poco lontano da me. All'altitudine
di 2400 metri ecco il bivio: a sinistra andrei verso la Forcella
Marmolada, mentre io devo proseguire diritto davanti a me, dove
comincio a intravedere un evidente intaglio fra la Marmolada stessa
e la Cima Ombretta. Fa ormai caldo e ho già superato circa due terzi
del dislivello totale, per cui è opportuno non lasciarmi prendere
dalla fretta. Al contrario, è meglio godere i grandiosi scorci che
via via mi si offrono, a cominciare dalla ciclopica parete sud della
Marmolada che, quando raggiungo i 2702 metri del Passo Ombretta,
si mostra in tutta la sua imponenza. Dal basso ci si sente davvero
dei microbi, a ridosso di quest'autentica muraglia naturale alta
1000 metri! Rimango in estasi a rimirarne ogni singola piega, corrugamento
o anfratto, cercando di indovinare quali potranno mai essere le
difficilissime vie alpinistiche che si snodano lungo questa parete
così verticale, o addirittura strapiombante... Poi mi guardo intorno:
dalla parte opposta del passo giace, sprofondato 700 metri in basso,
il Rifugio Falier, mentre a destra c'è la mia Cima Ombretta che
mi attende. Arriva una giovane coppia francese; chiedo ai due se
proseguiranno per la vetta, ma mi rispondono che si limiteranno
alla traversata del passo, da un rifugio all'altro. Dalla cima scendono
invece alcuni alpinisti: prima dei tedeschi, poi dei polacchi (mai
dei connazionali: italiani mollaccioni, dove cavolo siete?!). Domando
informazioni circa la difficoltà della via, e la risposta è unanime:
non si tratta di un percorso impegnativo. Ci sarebbe da concentrarsi
sui resti della Grande Guerra, però tira un certo vento e preferisco
non lasciar freddare ulteriormente i muscoli: avrò tempo al ritorno
per le esplorazioni. Dunque riparto e, dopo il Bivacco Dal Bianco,
il sentiero lungo il pendio detritico giunge alla base di una fascia
rocciosa. Questo tratto, come ben sapevo dai libri in mio possesso,
è attrezzato con fune metallica, per cui provvedo ad autoassicurarmi.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Risalendo l'incantevole Val Rosalia
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
L'inizio del tratto ferrato della "normale" alla Cima Ombretta
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La
pendenza, a dire il vero, non è proprio estrema, inoltre la roccia
presenta buoni appoggi per i piedi; nondimeno in montagna la prudenza
non guasta mai, dunque uso cordino e moschettone senza soluzione
di continuità. Dopo dieci o quindici minuti gli infissi terminano,
e il panorama muta radicalmente: c'è adesso un ampio circo ghiaioso
che va risalito fino alla sommità. E' sicuramente questa la parte
più faticosa di tutta la gita: la ripidezza del pendio, la mancanza
di una traccia a zigzag per alleviare la sfacchinata, l'abbondanza
di sassolini nei quali è inevitabile sprofondare, le molte ore di
cammino già nelle gambe, e non ultimo il sole cocente che dardeggia
impietoso senza la possibilità di un filo d'ombra, sono tutte concause
che rendono eterna la risalita di queste poche centinaia di metri.
A un passo avanti ne corrisponde subito mezzo all'indietro, ma è
inutile arrabbiarsi. Meglio armarsi di santa pazienza e salire adagio.
Dopo una bella sudata, eccomi finalmente sulla cresta che congiunge
la Cima di Mezzo alla Cima Orientale.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La cresta che conduce alla Cima Orientale, visibile sullo sfondo
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Il faticoso ghiaione prima della cresta
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
E' quest'ultima
la più alta, quella a cui io devo puntare. Mi aspetta dunque una
traversata verso est; il percorso, che ricalca il vecchio itinerario
della Grande Guerra, sta prima sul lato nord del filo di cresta,
poi su quello sud: alcuni passi lungo quest'ultima parte non sono
così facili, laddove la cengetta si restringe assai e il sentiero
è inclinato verso l'esterno e ormai franato. E' necessaria la massima
cautela anche perché c'è una certa esposizione. Non senza un briciolo
di apprensione supero il punto cruciale e mi ritrovo in vista della
Cima Orientale d'Ombretta, che raggiungo dopo un breve strappo finale.
E' fatta: dopo quasi quattro ore sono alla croce di vetta, a quota
3011!
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
L'insidioso sentierino militare lungo la cresta
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La soddisfazione
è grande, anche perché la splendida giornata mi permette da qua
di godere visioni irripetibili. Oltre all'immensa bastionata della
parete sud della Marmolada, che ora si può ammirare nella sua intera
larghezza, lo sguardo cade sul Vernel, sul Sassolungo e sul Sella;
poi si spinge sul lato opposto fino alle Pale di San Martino, e
infine si concentra sulle vette più vicine, che non ho mai osservato
da questa prospettiva: il Sasso Valfredda, la Cima Ombrettola e
il Sasso Vernale. La vedretta di quest'ultimo, un tempo decisamente
cospicua, è ormai ridotta a poche misere chiazze nevose: testimonianza
palpabile di quell'arretramento dei ghiacciai che purtroppo affligge
tutte le nostre montagne. Immerso in queste riflessioni, scatto
diverse foto e giro il consueto videoclip, quindi mi accingo a un
tranquillo e solitario pranzo.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Il Sasso Vernale e quello che resta della sua vedretta
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
L'immensa parete sud della Marmolada
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Già: in vetta
non c'è nessuno, e, se non fosse per una grande aquila che volteggia
sopra la mia testa, potrei ben dire che in questa landa così selvaggia
non c'è alcun segno di vita. Il silenzio è profondo e perfetto.
La cosa più sorprendente rimane comunque il caldo: anche ora, in
cima a un "tremila", rimango in maniche corte perché l'aria è immobile
e afosa. E infatti questo 29 luglio si rivelerà essere il giorno
più torrido dell'anno in assoluto, con ben 39 gradi raggiunti a
Trento, ma forse stupiscono ancora di più i 34 gradi toccati a Cavalese,
a poco meno di mille metri! Mentre indugio e mi riposo, dal fondo
del ghiaione compare un alpinista solitario. Deve ancora risalire
tutta la scarpata: malgrado la distanza, percepisco chiaramente
la grande fatica che gli procura quel pendio, prova ne sia che i
suoi passi non sono certo più rapidi dei miei. E infatti quando
giunge in vetta è visibilmente provato. Si tratta di un giovane
polacco che ha iniziato l'ascesa dal Rifugio Falier. Con sé non
ha acqua né viveri, ma solo una pesantissima macchina fotografica
reflex: è quindi costretto a trattenersi molto poco in cima, per
cui, dopo che ci siamo scambiati alcuni scatti, ritorna subito sui
suoi passi. Per curiosità mi soffermo a osservare dove affronta
l'insidiosa crestina. Ebbene, noto che ha avuto una brillante intuizione:
anziché seguire il franoso sentiero lungo la parete, monta direttamente
sul filo della cresta, dove i piedi perlomeno possono stare in posizione
più orizzontale. Dopo un'ora e mezzo di sosta, decido anch'io di
ripartire. Seguo l'esempio del 'collega' e valico pure io la cresta
sulla sommità. La manovra mi fa sentire assai più tranquillo rispetto
all'andata, anche se perdere l'equilibrio rimane in ogni caso tassativamente
vietato... In prossimità della Cima di Mezzo c'è una grande caverna
militare: l'esplorazione del suo interno è per me irrinunciabile.
Ma ora c'è il vero divertimento: il circo ghiaioso, da fare in discesa!
E' un vero spasso poterlo affrontare di corsa e a grandi balzi;
dispiace solo che in pochi attimi il gioco sia già finito... Il
tratto ferrato non mi crea alcun problema, e in prossimità del Passo
Ombretta, quando si scorge l'intaglio che scende verso la Val Rosalia,
ecco che le trincee della Prima Guerra Mondiale mi invitano a un'altra
sosta.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
La caverna militare presso la Cima di Mezzo
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Trincea poco sopra il Passo Ombretta
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Dentro al Bivacco
Dal Bianco c'è il libro per le firme: ne approfitto per segnalare
il mio sito (la qual cosa sarà notata in un giorno successivo da
Fabio, veronese trapiantato a Roma, che saluto). Una grossa
caverna mi fa venire un'idea per uno scatto differente dal solito,
così mi porto in fondo al 'tunnel' e punto l'obiettivo verso l'esterno.
La discesa lungo la Val Rosalia è evento da assaporare in tutta
la sua preziosità, adesso che la consapevolezza di aver portato
a termine il cimento mi dona tranquillità e felicità. I contrasti
di colore sono quantomai esaltanti, a cominciare dalle rocce stesse.
Sul tipico calcare della Marmolada, più grigio rispetto alla dolomia
ma sempre piuttosto chiaro, vanno talora a inserirsi delle intrusioni
di scura roccia eruttiva; il tutto è incredibilmente vivacizzato
da grandi distese di fiori gialli e bianchi, le cui capacità di
adattamento ai rigori dell'alta quota davvero sorprendono.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Dentro la caverna militare poco sopra il Passo Ombretta
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Meravigliosi contrasti di colore fra scure rocce laviche e fiori gialli
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
A un certo punto, quando sono già abbastanza in basso, incontro due giovani italiani (probabilmente emiliani, dall'accento) che stanno salendo. Mi chiedono informazioni circa l'itinerario che vorrebbero fare, e che prevederebbe il raggiungimento della Forcella Marmolada e lo scollinamento al di là, scendendo sul ghiacciaio fino al Pian dei Fiacconi. Mi precisano subito che non hanno né corda né piccozza. Guardo l'orologio: sono già le quattro del pomeriggio, inoltre c'è sempre un caldo torrido. Spiego ai due che il percorso è lungo e faticoso, fino alla Forcella Marmolada; in più, a quest'ora del pomeriggio e con una simile temperatura, il ghiacciaio è certamente pieno di crepacci e ridotto a una specie di pappa per neonati. Discenderlo senza attrezzatura sarebbe pura follia, per cui provvedo a dissuaderli vigorosamente dal mantenere il loro proposito. Gli consiglio invece il Passo Ombretta da cui io provengo, dicendo che in un'ora, e forse anche meno, riusciranno a raggiungerlo, e di tornare indietro per lo stesso sentiero. Per fortuna li convinco: ci salutiamo e ripartiamo. Dentro di me non posso non riflettere, per l'ennesima volta, su quanto siano mediamente sprovveduti gli escursionisti italiani rispetto a quelli stranieri. Poco attrezzati sia dal punto di vista mentale che tecnico, in compenso forniti di quella pericolosa dose di faciloneria che spesso genera incidenti anche gravi. "Sai, dalla cartina abbiamo visto che sul ghiacciaio c'è il sentiero...", mi avevano infatti detto i due poco prima, come se questo bastasse a considerare agevole l'impegno! E comunque in montagna non si intraprende mai un itinerario così ostico alle quattro del pomeriggio: è sempre bene avere davanti molte ore di luce, inoltre a queste quote la temperatura sale e scende con la stessa rapidità, e quando il sole comincia a declinare il freddo arriva velocemente. Ma per ora fa ancora caldo, un gran caldo. Quando passo vicino a delle alte rocce da cui stilla una piccola sorgente d'acqua, ben volentieri mi ci metto sotto e faccio una specie di doccia. Finalmente un po' di refrigerio! Ormai la Val Rosalia è quasi terminata, e in fondo intravedo il Rifugio Contrin. Compro due cartoline, cui appongo il canonico timbro, poi riparto. C'è una nutrita comitiva di mountain-bikers che sta anch'essa tornando in valle. Solo i primi riescono a stare sul loro mezzo nel primo impegnativo tratto di discesa; tutti gli altri sono costretti a condurre a mano la bici. L'unico tratto veramente pedalabile della Val Contrin è quello centrale, perché poi anche le ultime rampe della carrareccia, sopra Alba, sono ripidissime e soprattutto molto sconnesse a causa dei passaggi dei fuoristrada diretti ai rifugi. Io, invece, sono a piedi e non ho problemi. Mi gusto senza fretta questa parte finale della gita, e alle 18 rientro ad Alba di Canazei. Come s'è potuto ben capire, l'ascensione è stata ardua soprattutto dal punto di vista fisico. E' necessario un ottimo allenamento e anche condizioni di tempo ben stabili, perché 1500 metri di dislivello non si possono improvvisare.
[Dolomiti 2005]
|
|
|
|
|