XXII: Tabià - Val Forame - Val dell'Inferno - Coston -
Cima dell'Inferno - Malga Forame Alta - Val Forame - Tabià
(in mountain bike e a piedi)

Parallela alla Val Moena, nel cuore dei Lagorai, corre la meno nota Val Forame; a ovest di questa si stacca un'altra valle secondaria recante il nome cupo e minaccioso di Val dell'Inferno, culminante nell'omonima cima: la curiosità di visitare un luogo dall'appellativo così singolare mi ha spinto ad affrontare questa bella e solitaria escursione. Data la notevole distanza e il cospicuo dislivello col fondovalle, decido di adottare la... formula mista mountain bike + piedi, già sperimentata nel 2003 quando ebbi come mèta il Cimon di Val Moena. Dalla nota cascata di Cavalese percorro in macchina la strada forestale della Val Moena fino ai 1089 metri della località Tabià, dove è posto il cartello di divieto di proseguimento al traffico privato. Tiro fuori dal bagagliaio la bici e, col mio abbigliamento spurio ma comodo (pantaloncini da ciclista e scarponi), comincio a pedalare. Al ponte Brustolaie, ecco il bivio: devo abbandonare il percorso principale e prendere a destra per la Val Forame. La carrareccia, pur dal fondo buono, rispetto a quella della Val Moena è certo meno agevole, dato che sale diritta e con poche svolte; conseguentemente la pendenza è sempre sostenuta. Nulla d'impossibile, ma devo cadenzare bene il colpo di pedale. A quota 1510 trovo il ponte che segnala la confluenza tra il Rivo del Forame e, a destra, quello dell'Inferno: il mio tratto ciclistico è finito. Lego la  mountain bike a un albero (accorgimento peraltro pleonastico, vista la totale assenza umana), poi provvedo a togliermi il casco e a mettermi i pantaloni lunghi. La camminata in salita lungo la Val dell'Inferno è quantomai interessante, e la affronto con calma: il bosco, che ha ricevuto copiose piogge nei giorni precedenti, emana soavi profumi. Respiro a pieni polmoni questi pregiati effluvi. La vegetazione è fittissima e, talora, la luce che filtra è molto poca. Mi chiedo se sia questo il motivo del toponimo "Inferno", ma in realtà so già che esso deriva dal fatto che le pendici sono ricoperte di rododendri, che nel periodo della fioritura - non certo ora, a fine agosto - si incendiano di un rosso intenso.

In mountain bike lungo la Val Forame...

...e la prosecuzione a piedi lungo la Val dell'Inferno

Guadagno agevolmente quota e, sopra le cime degli alberi, comincio a intravedere la Cima dell'Inferno. Se mi volgo indietro, vedo Cavalese sprofondata giù in basso, sormontata dal Corno Nero. Giunto a un abbeveratoio alla base della cima, secondo le indicazioni lette in un paio di testi da qui si dovrebbe poter risalire il pendio, ma la cosa mi pare decisamente poco agevole a causa della ripidità e della totale mancanza di tracce. Decido dunque di fare un giro più ampio ma meno faticoso, continuando per ora lungo la strada forestale che, superata la Malga dell'Inferno, si dirige poi verso ovest. Giunto al culmine (proseguendo dritto scenderei nella Val Cadino), noto una scritta rozzamente incisa su un'asse di legno inchiodata a mo' di freccia su un albero: "Cima Inferno". La logica mi aveva dunque detto giusto, e adesso non devo far altro che girare a sinistra seguendo il cosiddetto Coston, una sorta di crestone che culmina appunto nella Cima dell'Inferno.

Cavalese e la Val di Fiemme;
sullo sfondo il Corno Nero

La Cima dell'Inferno dal Coston

A dire il vero non c'è proprio un sentiero, ma solo una labile traccia che spesso e volentieri sparisce tra gli alti cespugli di rododendri. La direzione è comunque obbligata, e rimanendo sul crinale pian piano mi avvicino alla vetta. L'ultimo tratto è un po' più laborioso, fra segni sul terreno talora contraddittori; tuttavia, senza grossi problemi, all'una e un quarto raggiungo finalmente la grossa croce posta sulla sommità. Sono state necessarie quasi quattro ore per superare i circa 1250 metri di dislivello dal Tabià, essendo alta la Cima dell'Inferno 2333 metri. La giornata è discreta e la temperatura piacevole; appagato anche dalla prestazione sportiva, mi accingo dunque a un'adeguata sosta. Tacitate le esigenze dello stomaco, resto a lungo ad ascoltare il profondo silenzio di questa landa semisconosciuta. Un'occhiata al libro di vetta mi fa infatti capire come la cima sia poco visitata, come del resto il dirimpettaio Cimon di Val Moena: in tutto agosto sono state apposte solo tredici firme da parte di singoli o comitive. Di fronte a me, oltre la Forcella del Capitello, si erge la lunga dorsale della Busa Grana; girandomi, c'è invece il piramidale Monte Croce e il crinale formato dal Monte Fregasoga, dalle Pale delle Buse e dal Cimon del Trés.

L'alta croce di metallo
su Cima dell'Inferno

Su Cima dell'Inferno. Alle mie spalle
il Cimon di Val Moena e la Busa Grana

Dopo un'ora e mezzo di estatica ammirazione, è il momento di ripartire. Proseguo lunga la cresta dalla parte opposta rispetto alla via di salita. Due maestose aquile, padrone dello sconfinato azzurro, disegnano in alto ampie traiettorie. Le tracce di sentiero che dovrei seguire si fanno ben presto esili fino a sparire del tutto; potrei forse percorrere tutto il crinale descrivendo un ampio giro e poi abbassarmi nel circo del Forame, ma a un certo punto preferisco discendere direttamente il pendio, coperto da un intricatissimo sottobosco di rododendri e ginepri. Ogni tanto credo di scorgere qualche segno di passaggio precedente al mio e lo seguo, ma il più delle volte posso solo appoggiare con cautela gli scarponi sui fitti arbusti, che crepitano sotto il mio peso. L'incedere è dunque piuttosto lento e difficoltoso; oltretutto devo spesso osservare la conformazione della valle e obliquare adeguatamente verso sinistra.

Proprio un bel… ginepraio e rododendraio la discesa dalla Cima dell'Inferno!

Con pazienza scavalco alcuni rivi secondari e continuo a scendere, e finalmente mi ritrovo sul sentiero segnato. Decisamente in questo 2005 il mio senso dell'orientamento s'è un po' riscattato! Avendo studiato bene la situazione quando ero in vetta, adesso so che fra breve incontrerò la Malga Forame Alta. Proprio quando mi sento ormai tranquillo e rilassato, ecco che faccio un bruttissimo incontro. A circa duecento metri dalla malga, all'improvviso compaiono due cani di media taglia che mi vengono incontro di corsa, abbaiando e ringhiando furiosamente! La repentinità dell'accaduto non mi lascia alcun tempo o spazio per escogitare qualcosa: l'unico accorgimento che posso adottare è quello di mantenermi immobile, senza guardare le bestie in faccia o fare gesti che possano essere mal intepretati. I due cani continuano a saltarmi intorno facendo un gran frastuono; i ringhi sono sempre più incazzati e minacciosi. Sono letteralmente impietrito dal terrore, e avverto con chiarezza che le gambe stanno tremando. Ad alcune abbaiate più decise delle altre percepisco ormai il contatto diretto dei musi sui miei polpacci. Passo alcuni minuti davvero... d'inferno, quando finalmente, dall'interno della malga, una voce si decide a richiamare gli animali. Tiro un profondissimo sospiro di sollievo; la prima tentazione sarebbe di andare dal pastore e di far valere in malo modo i miei sacrosanti diritti: mi trovo in un'area pubblica e in più sto percorrendo un sentiero CAI ufficiale (per la cronaca il 317b), dunque mai e poi mai devono esserci cani liberi, e addirittura così aggressivi! Però sono ancora emotivamente scosso dalla disavventura, così quando arrivo al cospetto del tizio sto ancora tremando. Costui, senza scusarsi, per primo mi dice: "Ah, ma tanto non fanno niente...". Io replico allora: "Che non facciano niente lo saprà lei, ma io sono rimasto molto spaventato!". Poche battute ancora, che mi servono per aver la conferma che per la Cima dell'Inferno non esistono veri sentieri, né sul crinale né sul pendio, e che l'unica possibilità per guadagnare la vetta è arrangiarsi, così come ho fatto io. La successiva discesa per la Val Forame avviene senza fretta o ulteriori intoppi, gustandomi il panorama verso la Val di Fiemme e una spettacolare cascata del Rivo del Forame.

In discesa lungo la parte
alta della Val Forame

La splendida cascata del Rivo del Forame

Giunto all'intersezione con la Val dell'Inferno, recupero la mia mountain bike. Mi rimetto i pantaloncini da ciclista e il casco e, con una breve ed emozionante discesa, alle 17 concludo al Tabià questa gita che, pur nella sua bellezza, mi sento di consigliare ai soli escursionisti ben allenati e capaci di orientarsi.

[Dolomiti 2005]