XV: Rifugio Cauriol - Cima Busa Alta e ritorno
(a piedi)

Il sentiero militare verso la Busa Alta

Trincee in vetta alla Busa Alta

Ecco un altro caso in cui la scarsità della toponomastica indicata non deve far pensare ad un'escursione breve e poco faticosa. La cornice è quella a me particolarmente cara dei Lagorai; oltretutto la stagione estiva volge ormai al termine e il luogo appare ancora più solitario del consueto. La giornata non è proprio un granché ed anche per questo inizio la gita abbastanza presto: poco più tardi delle otto sono già al Rifugio Cauriol, dove lascio la macchina. Mi inoltro nel bosco e ben presto mi rendo conto di un problema: sia per le piogge dei giorni scorsi, sia per la normale umidità della mattina, la fitta vegetazione è fradicia di acqua. Pian piano noto che gli scarponi si stanno bagnando: per un po' l'impermeabilizzazione regge bene, ma il percorso è lungo e, complice il fatto che dopo la gita della Marmolada non avevo più rimesso il grasso, fatalmente sento che l'acqua mi sta entrando nei piedi. La bellezza della natura circostante mi distoglie comunque dal piccolo inconveniente; la completa assenza di altri gitanti e la luce singolare della giornata brumosa conferiscono un inedito fascino al mio cammino. Ci sono da superare diverse balze prima di scorgere la vetta della Busa Alta, ma poi mi ritrovo sul tratto finale in mezzo alle rocce. Alcuni passaggi potrebbero sembrare non proprio elementari, ma la parete è abbondantemente scalinata da un vecchio sentiero della Grande Guerra, per cui la progressione avviene senza alcun timore. Raggiungo la cima intorno alle dieci e mezzo: mi sento felice ed appagato. Attorno a me resti di trincee, camminamenti, sfasciumi. Su tutto regna un silenzio profondo e forse anche inquietante. Mi avvolgo in un pesante maglione di lana e mangio qualcosa; quindi decido di esplorare un po' i dintorni. Mi affaccio sull'altro versante e scorgo a breve distanza da me una famiglia di camosci, che subito scappa facendo ruzzolare dei sassi. Invece una marmotta, che fa da sentinella emettendo il caratteristico fischio, rimane imperterrita al suo posto di vedetta, pochi metri più in basso. Torno allo zaino per recuperare la macchina fotografica, ma... nel frattempo l'animale è già scomparso. Allora guardo il terreno tutt'intorno, all'improbabile ricerca di qualche reperto di guerra. La speranza di rinvenirne uno è logicamente assai ridotta, perché sono trascorsi ottantacinque anni da quei tragici fatti e tutto ciò che ci poteva essere di notevole o importante (elmetti, scarponi, gavette e così via) è stato già da tempo recuperato. Nel 1983, su Cima Bocche, ero riuscito a trovare una bomba e un cavallo di Frisia, che ora custodisco gelosamente a casa mia, ma da allora sono passati altri vent'anni. Quando ormai dispero di scoprire qualcosa, ad un certo punto la mia attenzione è attirata da una macchia nerastra. Mi avvicino e raccolgo lo strano oggetto, e ben presto mi rendo conto di aver avuto fortuna: è la ghetta di un soldato! Tutto contento la metto nello zaino e decido di rientrare, anche perché il cielo s'è fatto piuttosto nuvoloso. Gli scarponi sono fradici e, con essi, anche i piedi al loro interno, ma almeno Giove Pluvio mi grazia e il tempo regge sino al Rifugio Cauriol, dove giungo intorno all'una. Entro nel rifugio e ringrazio la gentilissima signora che, in un'occasione precedente, mi aveva consigliato di fare questa bella gita su una vetta forse meno nota rispetto ad altre nei dintorni, ma che io ho trovato assolutamente meritevole di essere conosciuta.

[Dolomiti 2002]