X: Passo San Pellegrino - Passo delle Selle - Punta delle Selle - Punta Alochet - Cima Rizzoni -
Cima Ricoletta - Cima Malinverno - Ciadin Burt - Val dal Vent - Someda - Moena
(a piedi)

Come detto nell'introduzione generale alla mia estate dolomitica del 2004, quest'anno mi è difficile eleggere con sicurezza la "gita-culmine". Per fortuna sono stati più d'uno gli itinerari notevoli, per lunghezza o per impegno tecnico; certo è che l'Alta Via dei Monzoni "Bruno Federspiel" ha scavato nel mio cuore una nicchia privilegiata, e conserverò per sempre un ricordo vivissimo di questa incredibile traversata. Parto molto presto alla mattina, e, quando lascio la macchina al Passo San Pellegrino, la luce ancora radente dona sfumature dorate ai morbidi prati della Campagnaccia. La giornata è freddissima, e tale sensazione è acuita dal forte vento che non conosce tregua. Meglio non indugiare: mi incammino subito di buona lena, diretto verso il Passo delle Selle. E' un percorso che conosco già bene, e che so di poter coprire in meno tempo rispetto all'ora e mezza 'ufficiale'. Man mano che procedo, noto però che il rifugio, su al passo, è in fase di ristrutturazione: c'è solo una gru e lo scheletro delle pareti. Con un po' di disappunto credo dunque di non poter contare su quel punto d'appoggio che sarebbe l'unico in zona, in caso di difficoltà. Spinto dalla bassa temperatura, in circa un'ora raggiungo il passo. E qui ho una gradita sorpresa: sul versante opposto, il vecchio rifugio in legno è stato rimontato pochi metri più in basso. E' un vero tempo da lupi, e ho le mani completamente congelate, malgrado il movimento. Molte giornate invernali fiorentine sono parecchio più miti! Entro nel piccolo rifugio a scaldarmi un attimo. Un gestore mi spiega che, proprio per non lasciare il territorio sprovvisto di ricoveri, nell'attesa che la nuova struttura venga ultimata hanno provveduto a smontare e rimontare, asse per asse, la vecchia casetta, spostandola di quel tanto che gli bastava per poter effettuare i lavori. Una cartolina con un'immagine della Grande Guerra, scattata all'epoca proprio nei pressi, attira la mia attenzione. La compro e torno fuori, nella... gelida estate.

Guerra '15-'18: baraccamenti
austriaci presso il Passo delle Selle
(foto Langes Gunther)

Riflessi dorati sui prati della Campagnaccia

I pochi altri escursionisti lì presenti si dirigono tutti a destra, lungo la ferrata "Bepi Zac" del Costabella, che io ho già fatto l'anno scorso. Adesso sono l'unico a imboccare il sentiero a sinistra, dove ha inizio l'Alta Via dei Monzoni intitolata a Bruno Federspiel, un alpinista di Moena amico di mio nonno e che io stesso avevo avuto modo di conoscere. Trincee e camminamenti del conflitto '15-'18 sono evidentissimi. Mi sembra che faccia freddo, ma è pur sempre il 14 agosto e mi devo trattenere qui solo alcune ore: come facevano mai i soldati italiani e austriaci a resistere nei mesi invernali in un ambiente così inospitale? E infatti molti non sopravvissero... Immerso in questi pensieri, percorro la cresta delle Selle, che poco dopo culmina nell'omonima Punta. Il crinale scende leggermente per poi riprendere quota; molte le caverne militari, e una di esse è davvero notevole: attraversa la montagna da parte a parte ed è sorretta da travi. Doveva chiaramente ospitare un grosso pezzo di artiglieria.

I resti di una trincea oggi,
vicino al Passo delle Selle

Le due aperture di una stessa caverna militare, che attraversa da una parte all'altra la montagna

Quando raggiungo la Punta Alochet, dove trovo una piccola croce in legno con del filo spinato attorcigliato, il forte vento ha ormai spazzato via buona parte delle incertezze atmosferiche. Mi diverto a osservare, nel cielo, i rapidissimi cambiamenti delle nuvole, che in pochi secondi assumono le forme più bizzarre e disparate. I colori sono vividi, di un'intensità meravigliosa: mi sento davvero felice, pienamente realizzato! Ma il percorso è ancora lungo, quindi è meglio proseguire. Altre trincee e altre caverne sono situate in prossimità dell'altura secondaria denominata Palon Bianch; al lato estremo di una grotta c'è una sottile feritoia: una postazione di tiro. Ed è in questi paraggi che si trova il punto geologicamente più interessante della traversata, ossia quello in cui termina bruscamente la roccia bianca di tipo sedimentario per dare inizio a quella scura di origine lavica, che caratterizza appunto il gruppo dei Monzoni.

Dalla Punta Alochet, panorama verso
Pala di Carpella e Punta dell'Ort

Caverna militare
presso il Palon Bianch

Il brusco punto di passaggio fra chiara
roccia sedimentaria e scura roccia eruttiva

Fin qui il percorso di crinale è stato abbastanza elementare, ma, come già sapevo dalla lettura delle guide, adesso le cose cambieranno. Un cartello indica infatti che sta per iniziare il tratto ferrato, con l'indicazione "difficile" e la raccomandazione dell'uso del moschettone. Provvedo quindi a indossare il casco e a legarmi in vita il cordino. E proprio all'imbocco del sottogruppo dei Rizzoni trovo alcuni "gendarmi" dalla forma buffissima, come spesso accade quando la roccia è vulcanica. In particolare una guglia sembra un imponente omone con una piccola testa, messo di profilo: mi ricorda Mordiroccia, il gigante di pietra del film "La Storia Infinita"... Cominciano le funi metalliche, le quali permettono di affrontare in sicurezza i punti più esposti dell'affilata cresta dei Rizzoni. L'ambiente è solitario, davvero poco battuto: una situazione che mi affascina. Metto con attenzione un piede davanti all'altro, senza farmi cogliere dalla fretta. Rispetto alla vicina ferrata del Costabella, le difficoltà risultano all'incirca analoghe, però le funi metalliche sono qui in minor numero: bisogna arrampicare un po' di più, ed è quindi necessaria una maggiore cautela.

I buffi "gendarmi" all'imbocco dei
Rizzoni: in primo piano… Mordiroccia!

Lungo la ferrata dei Rizzoni

Supero alcune passerelle di legno, attraverso in orizzontale dei lisci lastroni in cui metto i piedi in opposizione reggendomi saldamente al cavo, fino a giungere al momento 'topico', secondo quello che mi aveva detto la Guida Alpina Vittorio Bonelli. C'è da scavalcare una placca verticale: sono tre metri o poco più, però con appigli praticamente nulli. Proprio mentre sto studiando i giusti passi, dalla direzione opposta sopraggiungono tre alpinisti veneti, che hanno iniziato l'escursione dalla Val Monzoni e stanno compiendo la traversata in senso inverso. Attendo che siano passati, poi tocca a me: grazie alle staffe per i piedi non ci sono problemi, e in pochi secondi mi ritrovo al di sopra dell'ostacolo.

L'affilata ed esposta cresta dei Rizzoni

La placca verticale sui Rizzoni

Un ultimo tratto su roccette mi permette di raggiungere la sommità dei Rizzoni, che con i suoi 2647 metri costituisce anche la massima elevazione dell'Alta Via. Il Costabella, la Marmolada col Gran Vernel, il Sassolungo, Cima Bocche, le Pale di San Martino: ecco la splendida visuale che mi si offre, anche se in alto vanno adesso accumulandosi alcuni nuvoloni. Sono ormai diverse ore che sto camminando, dunque mi concedo un meritato intermezzo, e ne approfitto per mangiare qualcosa. Il freddo pungente, tuttavia, mi rimette presto in piedi, alla volta dell'ultima parte della lunga escursione. C'è una ripida discesa che conduce all'intaglio della Forcella Ricoletta, il punto più basso della traversata (2431 metri). Le difficoltà tecniche sono terminate e mi tolgo casco e cordino. Lasciati alle spalle i Rizzoni, adesso i Monzoni cambiano aspetto: mentre a nord, verso l'omonima valle, le nere rocce continuano a precipitare quasi verticali, sul versante di San Pellegrino degradano folti prati di un profondo verde scuro. Volendo, ci sarebbe una traccia di sentiero che permette il rientro verso sud, ma è troppa la voglia di chiudere in bellezza la gita. Riprendo allora quota, faticosamente, lungo gli erti pendii erbosi che, nel giro di mezz'ora, mi permettono di guadagnare prima la Cima Ricoletta, poi la più alta Cima Malinverno. Quest'ultima pare voler onorare appieno il suo nome: il vento la sferza impietosa, e la temperatura è calata ulteriormente! Sono troppo sudato per perder tempo a ricercare una posizione giusta per l'autoscatto: provvedo a immortalare il mio zaino sulla vetta, col gruppo del Catinaccio sullo sfondo, dopodiché cerco un luogo più riparato. Avendo raggiunto l'ultima cima dei Monzoni, non mi resta che scegliere l'itinerario di rientro. Di rifare a ritroso l'intero percorso, così da recuperare la macchina, non se ne parla nemmeno... Opto allora di dirigermi verso la sottostante conca del Ciadin Burt, che, a dispetto del nome, non è per nulla repellente, anzi: i giochi di luce sulla scura monzonite e i verdi prati sono affascinanti, e le macchie di rododendri ingentiliscono il tutto.

La quota 2647 dei Rizzoni, il punto
più alto dell'Alta Via Federspiel

Il bel… Ciadin Burt

Il cielo è poi tornato sereno e la temperatura, forse per prima volta nell'arco della giornata, si è fatta mite, grazie anche al fatto che non mi trovo più esposto ai venti della cresta ma, al contrario, sono protetto dalle alte pareti che mi circondano. A questo punto decido di rientrare a piedi direttamente a Moena, e mi metto a riflettere sul percorso più logico. Sotto il Ciadin Burt, mi tengo alto in quota sul versante di destra, seguendo gli scarsissimi segnavia che spesso sono sepolti dall'erba alta. Lascio alla mia sinistra il Pizmeda e raggiungo la Val dal Vent (il cui toponimo è, quest'oggi, pienamente confermato...); da lì il ripidissimo sentiero 620 si inoltra nel bosco sbucando infine a Someda e poi a Moena. Pause comprese, questa incredibile traversata mi ha impegnato per non meno di dieci ore, ma vi assicuro che ne valeva assolutamente la pena! Vi sarà un'appendice il giorno seguente (Ferragosto), quando, nel pomeriggio, in mountain bike ritornerò al Passo San Pellegrino per recuperare la macchina, caricando la bici nel bagagliaio della mia Fiesta, una volta reclinati i sedili posteriori.

[Dolomiti 2004]