I tedeschi Albatros fanno indubbiamente parte della categoria "gruppi misconosciuti"; tuttavia la loro riscoperta è tutt'altro che pretestuosa, e si può ben dire che l'unico disco inciso sia un'autentica delizia per gli appassionati di un certo sound: onore, dunque, alla Garden of Delights che ancora una volta ha fatto centro.
La band nacque nel 1974 ed era composta da musicisti giovanissimi, tutti all'incirca ventenni. Dopo la consueta gavetta a base di concerti e concorsi locali, nel '78 giunse finalmente l'occasione di testimoniare su vinile quanto di buono era stato fin lì fatto, ma i soliti problemi che fatalmente attanagliano situazioni similari costrinsero il gruppo ad autoprodursi le 500 copie della prima ed unica tiratura. Il disco consta di tre soli lunghi pezzi, di durata compresa fra i 10 e i 19 minuti: la noia non vi regna mai, ed è anzi rimarchevole la sagacia con cui si alternano ritmi e umori. L'ambito generale è indubbiamente quello dell'
underground teutonico, ovvero un suono sanguigno ma non rozzo; nel caso degli Albatros, la destrezza tecnica è addirittura peculiare, e i virtuosismi inseriti sono davvero preziosi e accentuano la bontà delle composizioni. Nonostante la presenza di un tastierista e di un pianista, l'impronta sonora è fortemente chitarristica, con un Peter Breitbarth ottimo sia nella tessitura armonica che nei lunghi assoli. C'è un grande senso della melodia, negli Albatros, ma non si sconfina nel romanticismo anglosassone: rimanendo in ambito tedesco, si possono citare i Wallenstein o i Madison Dyke e i Werwolf; nelle dilatazioni simil-cosmiche vengono invece alla mente gli Eloy e i Jane, mentre nei diversi frangenti vicini all'hard rock affiorano gli Zarathustra. Veramente notevole l'enfasi epico-drammatica di "Man Like Me", con un feeling quasi latino che non è poi troppo distante dal Biglietto per l'Inferno; marziale è poi la seconda suite "Sundriver", ben sostenuta dalla potente voce di Hansi Köppen. Nella title-track conclusiva emerge la faccia più lirica della band: anche qui la capacità di avvincere non si pone in discussione.
Ha senso, nel ventunesimo secolo, andarsi a scovare dischi così, dall'incisione ben poco
rileccata? Sì, ovvio, quando i meriti sono tanto cospicui. Un lavoro eccellente!

Francesco Fabbri - giugno 2001

[ARTICOLI]